Dietro ricorso presentato da ANCE Sicilia ed un’impresa associata, il TAR per la Sicilia, sezione di Catania, con la sentenza n. 3669 del 7 dicembre 2021, nel dichiarare l’illegittimità di una gara indetta dal Comune di Catania, ha avuto modo di affrontare alcune tematiche di significativo interesse associativo.
Anzitutto, il TAR siciliano ha confermato la sussistenza della legittimazione a ricorrere in capo ad ANCE Sicilia (co-ricorrente insieme all’impresa associata), cogliendo l’occasione per chiarire i limiti degli interessi collettivi azionati dagli enti esponenziali.
Sul punto, va infatti ricordato che gli enti esponenziali – come ANCE – sono portatori dei cd “interessi diffusi”, ossia quegli interessi collettivi, privi di un esclusivo titolare individuale ed appartenenti, piuttosto, ad una particolare categoria sociale od economica. Trattandosi, quindi, di interessi eccedenti la sfera dei singoli, essi risultano “adespoti” e, affinché possano essere adeguatamente tutelati, vengono attribuiti ad enti cd “esponenziali”, che ne divengono gli effettivi ed esclusivi titolari.
Ora, sul tema in discorso, i Giudici siciliani hanno chiarito che, qualora l’ente agisca in giudizio per la tutela dell’interesse collettivo, non è necessario che ciò si traduca anche in un materiale ed effettivo vantaggio per tutti i singoli componenti della comunità o della categoria, secondo quanto già recentemente sostenuto dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, nella sentenza n. 6/2020, esplicitamente richiamata nella motivazione dal TAR.
Infatti, la valutazione sull’effettiva sussistenza dell’interesse collettivo azionato dall’ente dev’essere svolta ex ante, senza che, a tal fine, assuma rilievo l’eventuale circostanza che uno o più degli appartenenti alla categoria possa vantare, in concreto, un interesse in senso contrario.
Il possibile conflitto tra l’interesse collettivo e uno o più interessi individuali di segno opposto, quindi, non può comportare, ex se, la carenza di legittimazione ad agire dell’ente esponenziale.
Piuttosto, l’eventuale limite all’interesse collettivo dovrebbe essere individuato nella presenza, presso la categoria, di un interesse sì opposto, ma “diffuso”. Per tale dovrebbe intendersi non già una pluralità di particolari interessi individuali, ma di un interesse – per così dire – consolidato ed altrettanto omogeneo, condiviso da un’ampia parte degli appartenenti alla categoria.
Concludendo sul punto, va sottolineato che, con la decisione in commento, il TAR ha aderito alla linea interpretativa inaugurata dalla sentenza n. 6/2020 dell’Adunanza Plenaria; quest’ultima, infatti, avendo ritenuto che la tutela degli interessi collettivi da parte degli enti esponenziali non possa essere limitata da eventuali pregiudizi arrecati ad interessi individuali di uno o più appartenenti alla categoria, si è pronunciata in piena controtendenza rispetto ad un più risalente e restrittivo orientamento (v. Consiglio di Stato, Ad. Plen., sent. n. 9/2015), secondo il quale, al contrario, è indispensabile che l’interesse azionato dall’ente sia comune a tutti i membri della categoria, senza che possano essere ammessi conflitti anche con l’interesse di uno solo degli appartenenti alla stessa.
Accanto al riconoscimento dei presupposti dell’azione in favore dell’ente esponenziale, i Giudici territoriali hanno sancito che agli operatori economici non partecipanti alla procedura di gara è consentita l’impugnazione della lex specialis laddove questa dovesse prevedere – secondo valutazioni da farsi in concreto, caso per caso – un importo a base d’asta oggettivamente inadeguato, tale da non consentire la proposta di un’offerta realmente sostenibile.
Conseguentemente, è stata confermata la sussistenza della legittimazione ad agire anche in capo all’altro ricorrente nel giudizio in esame, ovverosia un’impresa associata non partecipante alla gara.
Al riguardo, oggetto di impugnazione erano state alcune clausole della lex specialis che, sottostimando i costi delle lavorazioni ovvero chiedendo al futuro aggiudicatario prestazioni aggiuntive (v. paragrafi successivi), avevano determinato una base d’asta del tutto incongrua rispetto all’effettiva portata economica della commessa, con l’effetto di rendere oggettivamente impossibile, per l’impresa, la formulazione di un’offerta seria e remunerativa.
Infatti, secondo il Tribunale amministrativo, tra le clausole immediatamente escludenti, impugnabili anche in mancanza di partecipazione alla gara, devono essere ricomprese anche quelle attinenti alla formulazione dell’offerta (sia tecnica che economica), laddove ne rendano, in concreto e sotto un profilo oggettivo, impossibile la presentazione, come già affermato da recente giurisprudenza citata dallo stesso TAR (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., 29 gennaio 2003, n. 1 o, più recentemente, Cons. Stato, Ad. Plen., 26 aprile 2018, n. 4).
Sul tema in discorso, val la pena osservare che le conclusioni raggiunte dal TAR siciliano assumono particolare importanza per gli operatori economici del settore. La sottostima degli importi a base d’asta, infatti, rappresenta non soltanto una delle più frequenti criticità riscontrabili nelle procedure di gara di lavori pubblici, ma anche una delle più gravi, in quanto, compromettendo la possibilità di formulare offerte congrue, provoca un grave nocumento ai principi di una sana e leale concorrenza, con negative ripercussioni anche sulla fase esecutiva dei lavori. Un tema, questo, che appare ancora più delicato alla vigilia della partenza delle gare finanziate dal PNRR.
Quanto all’esame dei motivi di merito, i ricorrenti evidenziavano, in primo luogo, che l’inadeguatezza dell’importo della gara era anzitutto determinata dall’illegittimità dei criteri di valutazione dell’offerta tecnica. La quasi totalità del punteggio da riservare a quest’ultima, infatti, verteva sulla disponibilità dell’offerente a realizzare (secondo criteri on/off) lavorazioni non incluse nel progetto posto a base di gara e, in quanto tali, non retribuite dall’Amministrazione.
Sul punto, il Tribunale ha confermato che l’attribuzione di punteggio tecnico ad opere o servizi aggiuntivi rappresenta una prassi illegittima, preclusa espressamente già dall’art. 95, comma 14-bis del Codice dei contratti pubblici, a norma del quale, nel caso di appalto aggiudicati con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, “le stazioni appaltanti non possono attribuire alcun punteggio per l’offerta di opere aggiuntive rispetto a quanto previsto nel progetto esecutivo a base d’asta”.
Come hanno ricordato i Giudici, la ratio di tale disposizione è, del resto, proprio quella di impedire che l’aggiudicazione possa essere disposta premiando elementi di carattere avulso rispetto al proprium della procedura.
Inoltre, la sentenza in commento sembrerebbe suggerire che uno degli indici del carattere addizionale delle ulteriori opere richieste dalla S.A. sia rappresentato – oltre, naturalmente, alla non inclusione nel progetto esecutivo – dall’ubicazione delle stesse, laddove, in particolare, queste siano esterne rispetto all’area di intervento delineata dal progetto a base di gara.
Ulteriore motivo di ricorso nel merito, e causa impediente la proposta di un’offerta adeguata, era relativo alla predisposizione di un progetto esecutivo sulla base di un prezzario regionale non aggiornato (nel caso di specie, era stato utilizzato il prezzario del 2018, anziché quello del 2019); fatto, questo, che ha determinato, già ab origine, un importo a base d’asta sottostimato.
Anche tale modus operandi della S.A. è stato ritenuto dal TAR illegittimo e non giustificabile.
Ciò, alla luce già delle prescrizioni del Codice di settore che, all’art. 23, comma 16, obbliga le stazioni appaltanti a fare puntuale applicazione dei prezzari regionali, che le Regioni sono parimenti tenute ad aggiornare annualmente.
Con l’occasione, i Giudici hanno altresì posto in evidenza che l’istituto dei prezzari regionali soddisfa una duplice esigenza:
Peraltro, nel caso esaminato, la valutazione “al ribasso” dell’importo a base d’asta, già determinata dall’utilizzo di un prezzario obsoleto, è amplificata – come sottolineato nella motivazione della pronuncia – non soltanto dalle altre previsioni di gara (come la richiesta di opere e servizi in aggiunta) ma anche dalla sfavorevole congiuntura economica verificatasi a livello globale che, a partire dagli ultimi mesi dello scorso anno ed ancor oggi, sta determinando l’abnorme aumento dei prezzi dei principali materiali da costruzione.
In ultima analisi, è stata rilevata l’illegittimità dell’obbligo, posto all’aggiudicatario della gara, di sottoscrivere, a copertura dei rischi di rovina totale o parziale dell’opera, una polizza indennitaria della durata di quindici anni.
Ora, nell’accogliere anche quest’ultimo motivo, i Giudici hanno censurato una tale previsione sotto un duplice aspetto:
In conclusione, dopo aver esaminato i motivi di ricorso nel senso sinteticamente illustrato nei paragrafi precedenti, il TAR per la Sicilia li ha ritenuti fondati e, dunque, li ha accolti, dichiarando, di conseguenza, l’illegittimità dell’intera procedura di gara impugnata.
La sentenza ora esaminata appare particolarmente meritevole di interesse, in quanto tocca tematiche di cruciale importanza per il comparto, stigmatizzando prassi illegittime quanto diffuse nelle gare pubbliche, dalla richiesta di lavori extraprogettuali all’utilizzo di prezzari non aggiornati, sino alla particolare rilevanza data alla fissazione di importi di gara sottostimati.
Ciò, in linea con quanto sostenuto da ANCE, che da tempo ha posto in rilievo le criticità censurate dai Giudici catanesi.
Fonte: ANCE