Nell’ambito dell’attività di un’impresa può accadere che si renda necessario compiere atti che esulano dall’oggetto sociale indicato nell’atto costitutivo; si pone dunque il problema di comprendere quali siano le conseguenze di tali operazioni.
L’oggetto sociale rappresenta l’attività economica che l’impresa si propone di svolgere, la quale deve essere indicata, al momento della costituzione della società, nell’atto costitutivo. Accanto ad una o più attività principali, è possibile individuare una serie di attività strumentali ad esse; inoltre, nell’atto costitutivo può farsi riferimento ad attività accessorie, quali: l’acquisto o la vendita di beni immobili, la stipula di contratti di finanziamento, il rilascio di garanzie reali e personali e via dicendo. Non è tuttavia consentito per le società di compiere indistintamente tutte le operazioni menzionate tra le attività accessorie, potendo essere poste in essere soltanto quelle operazioni che risultino connesse alle attività rientranti nell’oggetto sociale.
Quanto alla validità degli atti estranei all’oggetto sociale, è necessario operare una distinzione tra società di capitali e società di persone.
- Per le società di capitali, il codice detta una disciplina specifica, stabilendo che gli atti estranei all’oggetto sociale sono pienamente validi nei confronti dei terzi, laddove siano stati posti in essere dall’organo amministrativo o da un amministratore che abbia la rappresentanza della società stessa (art. 2384 c.c. per le S.p.a.; art. 2475-bis c.c. per le S.r.l.), tranne che nel caso in cui si dimostri che l’amministratore ha intenzionalmente agito a danno della società.
Esaminando il caso di un contratto di appalto, dunque, esso non può ritenersi invalido per il solo fatto che l’attività da compiere esuli dall’oggetto sociale della società appaltatrice. È necessario però distinguere tra atti in contrasto con l’oggetto sociale che non vanno a modificare nei fatti l’attività della società e atti che invece la modificano radicalmente.
La giurisprudenza, affrontando la questione dei limiti al potere degli amministratori di società a responsabilità limitata, ha evidenziato che l’art. 2479, comma 2 n. 5, c.c. riserva ai soci la decisione di compiere operazioni «che comportano una sostanziale modificazione dell’oggetto sociale»; tale disposizione limita i poteri di rappresentanza degli amministratori, con la conseguenza che l’atto modificativo dell’oggetto sociale è invalido anche nei confronti dei terzi (Trib. Roma, Sez. spec. Impresa, 27/01/2020, n.1722).
Così, ad esempio, si è ritenuto che la cessione dell’unica azienda della società sia nulla se non preceduta da un’apposita deliberazione assembleare: la cessione è, infatti, un atto di gestione che modifica l’oggetto sociale, dal momento che l’azienda non può essere più utilizzata per la realizzazione delle attività individuate nell’atto costitutivo.
In definitiva, all’interno della categoria degli atti estranei all’oggetto sociale (cd. ultra vires) compiuti da amministratori di società di capitali, è necessario distinguere le operazioni che, sebbene estranee all’oggetto sociale, non comportano una sua modifica, da quelle modificative dell’oggetto sociale: le prime sono valide, in quanto rappresentano una deviazione meramente occasionale dall’oggetto sociale; le seconde, invece, sono da considerarsi nulle.
- Per le società di persone, l’art. 2298 c.c. – richiamato dall’art. 2315 c.c. per le società in accomandita semplice – prevede che gli amministratori di società in nome collettivo possano compiere tutti gli atti che rientrano nell’oggetto sociale, fatte salve le limitazioni che risultano dall’atto costitutivo o dalla procura. Tali limitazioni sono opponibili ai terzi se iscritte nel registro delle imprese, o se i terzi ne abbiano avuto comunque conoscenza.
Ne discende che gli atti estranei all’oggetto sociale posti in essere dagli amministratori di società di persone non impegnano validamente la società, fatta salva la possibilità che i soci convalidino l’atto attraverso una successiva ratifica.
Tuttavia, secondo parte della giurisprudenza una simile distinzione tra società di persone e società di capitali non ha un’effettiva ragion d’essere, e rischia di pregiudicare eccessivamente gli interessi dei terzi: pertanto, anche rispetto alle società di persone si rende necessario fare riferimento a “una concezione più sfumata dei limiti al potere di rappresentanza degli amministratori derivanti dall’oggetto sociale”, effettuando una valutazione caso per caso al fine di stabilire se il terzo fosse effettivamente a conoscenza dell’estraneità all’oggetto sociale dell’atto compiuto (Cass. civ., Sentenza n. 4774 del 14/05/1999; Cass. civ., Sentenza n. 1817 del 18/02/2000; Cass. civ., Sentenza n. 14254 del 08/07/2020).
Fonte: ANCE