Clausola sociale, croce e delizia delle amministrazioni comunali che propongono bandi di gara per affidare vari servizi e di chi, materialmente, ci mette i soldi e partecipa a quel determinato bando. Ma come funziona questa clausola sociale? Fa chiarezza una sentenza del Consiglio di Stato (n. 6761/2020) che mette i classici “puntini sulle i” e dirime tutti i dubbi.
Clausola sociale, cos’è
La clausola sociale prevede “per gli affidamenti dei contratti di concessione e d’appalto di lavori e servizi […], con particolare riguardo ai contratti ad alta intensità di manodopera”, che nei bandi di gara e inviti “possano essere inserite […] specifiche clausole sociali volte a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato, prevedendo l’applicazione da parte dell’aggiudicatario dei contratti collettivi di settore […]. I servizi ad alta intensità di manodopera sono quelli nei quali il costo della manodopera è pari almeno al 50 per cento dell’importo totale del contratto”. La clausola sociale può essere applicata solo negli appalti di lavori e servizi e non di forniture. Di solito, la tutela dei lavoratori “uscenti” è sempre stata una condizione prevista negli appalti pubblici a favore degli utenti della Pubblica Amministrazione laddove il personale, che prima era alle dipendenze del vecchio affidatario e che poi “passa” al nuovo aggiudicatario, è in grado di garantire quella continuità di servizio importante per molte tipologie di prestazioni appaltate. Nelle gare di appalto, il regime della clausola sociale richiede un bilanciamento fra più valori, tutti di rango costituzionale, ed anche europeo. Ci si riferisce da un lato al rispetto della libertà di iniziativa economica privata, garantita dall’articolo 41 della Costituzione, ma anche dall’articolo 16 della Carta di Nizza, che riconosce “la libertà di impresa”, conformemente alle legislazioni nazionali. Dall’altro lato, in primo luogo al diritto al lavoro, la cui protezione è imposta dall’articolo 35 della Costituzione e dall’articolo 15 della Carta di Nizza, di analogo contenuto.
Clausola sociale “elastica”
Il Consiglio di Stato si è espresso varie volte su questa delicata tematica. In un parere espresso circa due anni fa (il numero 2703), il Consiglio di Stato ha ribadito che questa clausola sociale “va formulata e intesa in maniera elastica e non rigida, rimettendo all’operatore economico concorrente la valutazione in merito all’assorbimento dei lavoratori impiegati dal precedente aggiudicatario”. Anche perché, spiega il Consiglio di Stato, “solo in questi termini la clausola sociale è conforme alle indicazioni della giurisprudenza amministrativa secondo la quale l’obbligo di mantenimento dei livelli occupazionali del precedente appalto va contemperato con la libertà d’impresa e con la facoltà in essa insita di organizzare il servizio in modo efficiente e coerente con la propria organizzazione produttiva, al fine di realizzare economie di costi da valorizzare a fini competitivi nella procedura di affidamento dell’appalto”.
Il “piano di compatibilità”
E’ sempre stato messo in risalto la possibilità che nel corso di un bando di gara, l’impresa che fa un’offerta per il bando di gara, proponga un vero e proprio “piano di compatibilità” o “progetto di assorbimento”. Questo vuol dire che l’offerta deve illustrare in che modo l’impresa, nel caso diventasse aggiudicataria, intenda rispettare la clausola sociale. Significa, spiega il Consiglio di Stato che bisogna formulare “una vera e propria proposta contrattuale […] che contenga gli elementi essenziali del nuovo rapporto in termini di trattamento economico e inquadramento, unitamente all’indicazione di un termine per l’accettazione”, con conseguente possibilità per il lavoratore di “previa individuazione degli elementi essenziali del contratto di lavoro”. Allo stesso modo, la stazione appaltante potrebbe valutare se “inserire tra i criteri di valutazione dell’offerta quello relativo alla valutazione del piano di compatibilità, assegnando tendenzialmente un punteggio maggiore, per tale profilo, all’offerta che maggiormente realizzi i fini cui la clausola tende”.
Clausola sociale, non c’è obbligo
Di recente è stato specificato che la clausola non comporta “alcun obbligo per l’impresa aggiudicataria di un appalto pubblico di assumere a tempo indeterminato ed in forma automatica e generalizzata, nonché alle medesime condizioni, il personale già utilizzato dalla precedente impresa o società affidataria, ma solo che l’imprenditore subentrante salvaguardi i livelli retributivi dei lavoratori riassorbiti in modo adeguato e congruo”. Ancora più specificatamente, non c’è l’obbligo di garantire ai lavoratori già impiegati, le medesime condizioni contrattuali ed economiche. Clausola sociale, dunque, non vuol dire che vada garantita la conservazione dell’inquadramento e l’anzianità del lavoratore assorbito dall’impresa aggiudicataria. In ogni caso, specifica il Consiglio di Stato, la libertà dell’imprenditore non vuol dire che può fare tutto ciò che vuole dei “vecchi” lavoratori: in ogni caso deve attenersi sempre alle condizioni economiche e contrattuali vigenti, “pena la legittimazione di politiche aziendali di dumping sociale in grado di vanificare gli obiettivi di tutela del lavoro”.