Negata la tassazione agevolata dei trasferimenti immobiliari a favore del fondo immobiliare che intende ristrutturare interi fabbricati per la successiva vendita. I fondi di investimento immobiliari, infatti, non sono assimilabili alle imprese di costruzione a cui è riconosciuta l’agevolazione connessa alla valorizzazione edilizia.
Il caso esaminato dall’Agenzia delle Entrate con la Risposta n. 70 del 20 febbraio 2020 riguarda una Società di gestione di risparmio (SGR) che ha acquisto, con asta pubblica, un complesso immobiliare per conto di un fondo comune di investimento immobiliare (FIA), e che entro i 10 anni dalla compravendita, intende vendere i fabbricati ristrutturati attraverso una serie di interventi edilizi[1].
La Società di gestione, nel caso di specie, si rivolge all’Agenzia delle Entrate per sapere se il Fondo di investimento immobiliare per conto del quale effettua la compravendita e procede agli interventi edilizi, si possa qualificare come impresa di “costruzione o di ristrutturazione immobiliare” ai fini dell’applicazione del regime di tassazione agevolato riconosciuto alle suddette imprese dall’art. 7 del DL 34/2019[2].
Sul punto l’Agenzia delle Entrate si pronuncia in senso negativo.
Si ricorda che il regime agevolato introdotto dall’art. 7 sopra citato prevede che, fino al 2021, per i trasferimenti di interi fabbricati, a favore di imprese di costruzione o di ristrutturazione immobiliare che, entro i 10 anni successivi, provvedano alla loro demolizione e ricostruzione, anche con variazione volumetrica, o alla realizzazione di interventi di manutenzione straordinaria, di restauro e risanamento conservativo o di ristrutturazione edilizia e alla vendita di almeno il 75% del volume del nuovo fabbricato, sia possibile pagare le imposte di Registro e Ipo-catastali nella misura fissa di 200 euro ciascuna.
Affinché il regime agevolato possa trovare applicazione, quindi, devono ricorrere alcune condizioni:
Il quesito posto all’Agenzia da parte della Società di gestione verte sulla possibilità di fruire dell’agevolazione partendo dal presupposto che sia possibile equiparare il fondo comune d’investimento, per conto del quale viene acquistato il complesso immobiliare, alle imprese di costruzione o di ristrutturazione immobiliare.
La risposta negativa dell’Amministrazione finanziaria si basa sull’espresso divieto previsto dal Regolamento sulla gestione collettiva del Risparmio[3] per il FIA chiuso di svolgere, nella propria attività di gestione, “diretta attività di costruzione di beni immobili”.
Ma più in generale, il diniego dell’Agenzia delle Entrate parte dalla considerazione che, ai fini del riconoscimento delle agevolazioni fiscali espressamente previste a favore di imprese di costruzione, l’espressione “impresa di costruzione o ristrutturazione immobiliare” può includere anche le imprese che eseguono i lavori, a cui sono connessi i benefici, tramite appalto, solo quando queste ultime siano astrattamente legittimate a realizzarli. Tale circostanza si verifica quando, ad esempio, l’attività di costruzione è prevista, tra le altre, nell’oggetto sociale dell’impresa[4].
[1] Si tratta, in particolare, di interventi di demolizione e ricostruzione e di interventi di manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo, ristrutturazione edilizia di cui all’art. 3, comma 1, lettere b), c) e/o d) del D.P.R. 380/ 2001(“TUE”) realizzati in conformità alla normativa antisismica e con il conseguimento della classe energetica “NZEB”, “A” o “B”.
[2] Convertito nella legge n.58/2019,
[3] Cfr. Regolamento sulla gestione collettiva del Risparmio (provvedimento della Banca d’Italia del 19 gennaio 2015), Sezione V, paragrafo 2.
[4] A titolo esemplificativo vedi la Risposta 279/2019.