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Pareri e Sentenze

La clausola sociale negli appalti pubblici: nuovi chiarimenti dal Consiglio di Stato

9 Settembre 2019
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Per gli affidamenti di contratti ad alta intensità di manodopera, ovvero quelli nei quali il costo della manodopera è pari almeno al 50% dell’importo totale del contratto, l’art. 50 del D.Lgs. n. 50/2016 (c.d. Codice dei contratti) prevede la possibilità di inserire delle specifiche clausole sociali volte a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato.

Ma cosa significa? Che le stazioni appaltanti possono imporre la riassunzione del vecchio personale impiegato dal precedente contraente?

A rispondere a queste domande ci ha pensato la Sezione Sesta del Consiglio di Stato con la sentenza n. 5243 del 24 luglio 2019 con la quale ha accolto il ricorso presentato per la riforma di una decisione del giudice di primo grado che aveva rigettato la richiesta di annullamento di un bando in cui la stazione appaltante aveva previsto come criterio di aggiudicazione l’offerta economicamente più vantaggiosa (OEPV), precisando che per garantire la continuità l’offerta avrebbe dovuto prevedere la conferma e l’utilizzo di almeno il 50% degli operatori già operativi con il precedente contraente. Inoltre è stato previsto un criterio di valutazione delle offerte tale da premiare, in termini di punteggio (sino a un massimo di 25 punti sui 50 totali) il concorrente che si fosse impegnato a riassorbire il maggior numero del suddetto personale.

Come rilevato dal Consiglio di Stato, il combinato operare dell’obbligo di riassunzione e del menzionato criterio di valutazione delle offerte sarebbe tale da violare il divieto di imporre ai concorrenti l’assunzione di tutti i lavoratori impiegati dall’appaltatore uscente.

Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, clausola sociale ammessa dall’art. 50 del Codice dei contratti, deve essere interpretata conformemente ai principi nazionali e comunitari in materia di libertà di iniziativa imprenditoriale e di concorrenza, risultando altrimenti essa lesiva della concorrenza, scoraggiando la partecipazione alla gara e limitando ultroneamente la platea dei partecipanti, nonché atta a ledere la libertà d’impresa che sta a fondamento dell’autogoverno dei fattori di produzione e dell’autonomia di gestione propria dell’archetipo del contratto di appalto. Tale clausola deve essere interpretata in modo da non limitare la libertà di iniziativa economica e, comunque, evitando di attribuirle un effetto automaticamente e rigidamente escludente.

L’obbligo di riassorbimento dei lavoratori alle dipendenze dell’appaltatore uscente, nello stesso posto di lavoro e nel contesto dello stesso appalto, deve essere armonizzato e reso compatibile con l’organizzazione di impresa prescelta dall’imprenditore subentrante. I lavoratori, che non trovano spazio nell’organigramma dell’appaltatore subentrante e che non vengano ulteriormente impiegati dall’appaltatore uscente in altri settori, sono destinatari delle misure legislative in materia di ammortizzatori sociali; la clausola non comporta invece alcun obbligo per l’impresa aggiudicataria di un appalto pubblico di assumere a tempo indeterminato ed in forma automatica e generalizzata il totale del personale già utilizzato dalla precedente impresa o società affidataria.

Nel caso di specie è vero che il bando imponeva di riassumere, a pena di esclusione dalla gara, solo il 50% dei lavoratori impiegati dal precedente gestore del servizio, tuttavia, il contestuale operare di tale clausola e del criterio di valutazione dell’offerta tecnica volto a premiare la riassunzione del maggior numero dei detti lavoratori, con l’assegnazione di un punteggio addirittura pari alla metà (25 punti) di quello complessivamente attribuibile, al concorrente che si fosse impegnato a riassorbire tutto il restante 50% del personale in parola, produce effetti sostanzialmente analoghi a quelli di una clausola sociale di riassunzione pressoché totalitaria, con la conseguenza di condizionare in maniera significativa e oltremodo rilevante le scelte dell’imprenditore in ordine alle modalità più appropriate di allocazione dei fattori della produzione in base all’organizzazione d’impresa prescelta, imponendogli, così, un vincolo incompatibile con la libertà d’impresa, poiché idoneo a comprimere i valori di cui all’articolo 41, Cost. in modo eccessivo rispetto a quanto ragionevolmente esigibile nei confronti dell’operatore economico, il quale finirebbe per dover impropriamente assumere obblighi sostanzialmente riconducibili alle politiche attive del lavoro.

In definitiva la congiunta applicazione delle due prescrizioni di gara (cinquanta più cinquanta) produce sostanzialmente l’effetto di aggirare il divieto di prevedere clausole sociali che impongano l’integrale riassorbimento del personale utilizzato dall’appaltatore uscente.

 

sentenza-cds-24.07.2019-5243

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