In attesa che le Commissioni di Camera e Senato vengano costituite e inizino i lavori, i parlamentari stanno presentando i disegni di legge che verranno esaminati nei prossimi mesi.
Alcuni di questi riguardano la riduzione del consumo di suolo e la rigenerazione urbana, temi cari soprattutto al Movimento 5 Stelle e inseriti nel Contratto di Governo con la promessa di fermare il consumo di suolo (spreco di suolo), con l’obiettivo di eliminarlo completamente attraverso il rilancio del patrimonio edilizio esistente, la rigenerazione urbana e la riqualificazione energetica degli edifici.
La proposta di legge n. 63 ‘Disposizioni per il contenimento del consumo di suolo e per il riuso dei suoli edificati’ di Federica Daga e altri, riprende il testo elaborato dal Forum ‘Salviamo il paesaggio’ e messo a disposizione delle forze politiche.
La relazione riporta i dati, ormai noti, del consumo di suolo in Italia: l’Ispra ha calcolato che negli anni 2000 sono stati coperti 8 mq di nuovo suolo al secondo; tra il 2013 e il 2015 si è scesi a 4 mq al secondo a causa della crisi economica; tale rallentamento si consolidato negli ultimi due anni ma il consumo di suolo continua ininterrottamente a ricoprire aree naturali e agricole con asfalto e cemento, fabbricati residenziali e produttivi, centri commerciali, servizi e strade.
Un altro fattore di criticità – si legge nella relazione – è rappresentato dall’occupazione caotica di suoli derivata dalla dispersione insediativa (sprawl), che provoca la frammentazione dei paesaggi che si sono sedimentati nel tempo per opera dell’uomo. Un patrimonio collettivo di valori storici, culturali e di appartenenza, fondamentale per il benessere dei cittadini e delle comunità, oltre che importante risorsa per forme di turismo sociale ed ecologico-naturalistico.
A ciò si aggiungono la mancata produzione agricola, la perdita di servizi ecosistemici, il mancato sequestro del carbonio dovuto all’impermeabilizzazione del suolo, la mancata protezione dall’erosione, la diminuzione della rimozione del particolato e dell’assorbimento dell’ozono, la minore regolazione del microclima urbano con conseguente aumento dei costi energetici.
Un circolo vizioso – si interrogano i firmatari del ddl – che, visti i numeri, genera un dubbio: dov’è la convenienza pubblica di ingiustificati interventi di edificazione con un ritorno economico limitato al breve periodo? Quanto contano tributi e oneri incassati se poi gli interventi si rivelano evidentemente antieconomici e destinati a perdere valore, oltre che a richiedere una costante manutenzione? La mancata compensazione tra costi e benefìci non dovrebbe già da sola far propendere a limitare al massimo opere di cementificazione, quali esse siano?
L’esponenziale consumo di suolo degli ultimi 50 anni – spiega la relazione – non corrisponde ad autentiche esigenze produttive o abitative e a effettivi bisogni sociali: secondo l’ISTAT nel nostro Paese sono presenti oltre 7 milioni di abitazioni non utilizzate, 700.000 capannoni dismessi, 500.000 negozi definitivamente chiusi e 55.000 immobili confiscati alle mafie. Tutto ciò a fronte di una crescita demografica debole (dovuta essenzialmente dall’ingresso di nuova popolazione dall’estero).
Inoltre, secondo Scenari immobiliari, ci sono 90.500 edifici di nuova costruzione invenduti e molti immobili vetusti e quasi inutilizzabili che avrebbero bisogno di essere ristrutturati e riqualificati. Senza contare la grande quantità, in seno agli istituti bancari, di immobili pignorati a cittadini ‘impoveriti’ e a imprese edili fallite, e i centri commerciali e i capannoni dismessi, obsoleti o chiusi per fallimenti economici, il cui abbattimento o riuso richiede ingenti esborsi di denaro pubblico.
A valle di tutte queste considerazioni, i proponenti affermano che il contrasto del consumo di suolo, misura essenziale a sostegno del benessere economico e sociale, dev’essere considerato una priorità e diventare una delle massime urgenze dell’agenda parlamentare.
La proposta di legge intende indirizzare l’intero comparto edilizio sull’unica chance di sviluppo possibile: il recupero, la rigenerazione, l’efficientamento energetico e il risanamento antisismico del patrimonio edilizio vetusto. Quasi il 55% delle abitazioni italiane (16,5 milioni di unità) è stato costruito prima del 1970; quota che sale al 70% nelle città di medie dimensioni e al 76% nelle città metropolitane.
Obiettivo primario della legge è quello di ‘contrastare in modo deciso – ‘arrestare’ e non semplicemente ‘limitare’ o ‘contenere’ – il consumo di suolo, per salvaguardare gli spazi vitali per il benessere dei cittadini e delle loro comunità e contrastare il dissesto, l’impermeabilizzazione e gli effetti dei sempre più frequenti eventi meteorologici estremi.
Quindi, per evitare ulteriore consumo di suolo libero, il riuso e la rigenerazione dei suoli già urbanizzati, nonché il risanamento del costruito attraverso ristrutturazione e restauro degli edifici a fini antisismici e di risparmio energetico, la riconversione di comparti attraverso la riedificazione e la sostituzione dei manufatti edilizi vetusti costituiscono princìpi fondamentali del governo del territorio.
Dalla data di entrata in vigore della legge non sarà consentito nuovo consumo di suolo per qualsiasi destinazione e le esigenze insediative e infrastrutturali saranno soddisfatte esclusivamente con il riuso, la rigenerazione dell’esistente patrimonio insediativo ed infrastrutturale esistente.
I comuni dovranno approvare varianti ai propri strumenti di pianificazione, per eliminare le previsioni di edificabilità che comportino consumo di suolo in aree agricole e in aree naturali e seminaturali; in assenza di dette varianti sarà sospesa l’efficacia degli stessi strumenti relativamente alle disposizioni che prevedono un consumo di suolo.
La legge prevede che i comuni facciano un ‘censimento comunale’ per individuare gli edifici (sia pubblici sia privati) sfitti, non utilizzati o abbandonati, le loro caratteristiche e dimensioni, le aree urbanizzate e infrastrutturate esistenti e le aree residue non ancora attuate previste dagli strumenti urbanistici vigenti, pena il divieto di realizzare nuovi interventi edificatori che comportino consumo di suolo e di approvare di nuovi strumenti urbanistici o varianti che prevedano interventi in aree libere.
Il disegno di legge definisce gli interventi di rigenerazione delle aree urbanizzate degradate: bonifica, riuso e rigenerazione delle funzioni ecologiche del suolo, riqualificazione, demolizione, ricostruzione e sostituzione degli edifici esistenti (ad esclusione degli interventi più invasivi nei centri storici e delle aree di antico impianto), creazione e mantenimento nell’urbanizzato esistente di aree verdi, aree pedonabili, percorsi ciclabili, aree naturalistiche, di agricoltura urbana e inserimento di funzioni pubbliche e private.
Tali funzioni devono essere volte al miglioramento della qualità della vita dei residenti, della vivibilità e salubrità degli spazi urbani pubblici, con elevati standard di qualità, sicurezza sismica, minimo impatto ambientale e paesaggistico, in particolare con il miglioramento dell’efficienza energetica e idrica e con la riduzione delle emissioni, attraverso l’indicazione di precisi obiettivi prestazionali e di qualità architettonica degli edifici, con particolare riferimento alla bioarchitettura.
Sono previste misure di incentivazione ai Comuni, per gli interventi di riuso, rigenerazione urbana e di bonifica dei siti contaminati, e ai privati per il recupero di edifici e di infrastrutture nei territori rurali, per il recupero di suolo agricolo mediante la demolizione di capannoni e altri fabbricati rurali abbandonati e per il riuso di capannoni o edifici dismessi. Regioni e province potranno istituire incentivi, anche di natura fiscale, per il recupero del patrimonio edilizio e esistente.
I proventi derivanti dai titoli abilitativi edilizi e delle sanzioni previste dal Testo Unico Edilizia, “(i ‘famigerati’ oneri di urbanizzazione)”, saranno destinati esclusivamente e senza vincoli temporali alla realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria che non comportano nuovo consumo di suolo, al risanamento di complessi edilizi compresi nei centri storici, a interventi di riuso e di rigenerazione, a interventi di tutela e riqualificazione dell’ambiente e del paesaggio e, nel limite massimo del 30% per le spese di manutenzione ordinaria e straordinaria del patrimonio comunale.
La proposta di legge si propone, infine, di attuare l’articolo 42 della Costituzione, secondo il quale ‘La proprietà è pubblica e privata’ e ‘La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge (…) allo scopo di assicurarne la funzione sociale’, per cui il venir meno di quest’ultima fa venir meno la stessa tutela giuridica, con la conseguenza che i suoli tornano nella proprietà collettiva della popolazione del comune interessato.
La legge definisce la funzione sociale della proprietà, individuando i beni che sono considerati abbandonati/inutilizzati e non più rispondenti ad alcuna funzione sociale, per i quali è previsto uno specifico procedimento, a cura dei comuni singoli o associati, al fine di ricondurli alla proprietà collettiva per essere destinati a soddisfare l’interesse generale, in conformità con l’articolo 42 della Costituzione, senza alcun indennizzo per i proprietari che non hanno perseguito la funzione sociale dei loro beni, ovvero li hanno abbandonati.
Nella scorsa legislatura, il Parlamento ha esaminato il ddl per la riduzione del consumo di suolo. Il testo approvato dalla Camera prevedeva di azzerare il consumo di suolo entro il 2050, tutelare le aree agricole, incentivare la rigenerazione urbana attraverso regimi fiscali di vantaggio, semplificare la riqualificazione e favorire l’efficienza energetica del costruito attraverso demolizioni e ricostruzioni. La legge si è però arenata in Senato due anni fa.