Con la sentenza del 3 giugno 2021 (causa C-210/20) la Corte di Giustizia dell’Unione europea (Sez. IX) ha sancito l’incompatibilità con la direttiva 2014/24/UE dell’art. 89, comma 1 del Codice degli appalti, nella parte in cui stabilisce che l’amministrazione aggiudicatrice deve automaticamente escludere un offerente da una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico qualora l’impresa ausiliaria, sulle cui capacità esso intende fare affidamento, abbia reso una dichiarazione non veritiera quanto all’esistenza di condanne penali passate in giudicato, senza permettere, in siffatta ipotesi, a tale offerente di sostituire detto soggetto ausiliario.
In particolare, la Corte ha rilevato che tale disposizione si pone in contrasto con l’art. 63, paragrafo 1, secondo periodo della medesima direttiva – in combinato disposto con l’art. 57, paragrafo 4, lett. h) -, il quale, nel prevedere la possibilità di affidamento sulle capacità di altri soggetti, stabilisce che “(…) L’amministrazione aggiudicatrice impone che l’operatore economico sostituisca un soggetto che non soddisfa un pertinente criterio di selezione o per il quale sussistono motivi obbligatori di esclusione. L’amministrazione aggiudicatrice può imporre o essere obbligata dallo Stato membro a imporre che l’operatore economico sostituisca un soggetto per il quale sussistono motivi non obbligatori di esclusione”.
Peraltro, a giudizio della Corte, la norma interna si pone in contrasto anche con il generale principio di proporzionalità, nonché con il c.d. divieto di gold plating secondo cui le norme nazionali, nel recepimento delle direttive comunitarie, non devono andare oltre quanto necessario per raggiungere gli obiettivi da queste ultime previsti.
Il caso
Nell’ambito di una procedura ad evidenza pubblica la stazione appaltante aveva escluso taluni operatori economici che avevano dichiarato di avvalersi dei requisiti tecnico-professionali posseduti da altra impresa ausiliaria (mediante il ben noto istituto dell’avvalimento di cui all’art. 89 del Codice degli appalti).
Segnatamente, l’amministrazione aveva rilevato che l’impresa ausiliaria aveva fornito dichiarazioni non veritiere all’interno del DGUE (i.e. non aveva dichiarato di aver subito una condanna penale), integrando la fattispecie di esclusione automatica prevista all’art. 80, comma 5 lett. c) del Codice. Pertanto, aveva escluso automaticamente i concorrenti in applicazione della disposizione contenuta all’art. 89, comma 1 del Codice, secondo cui in presenza di dichiarazioni mendaci fornite dall’impresa ausiliaria, la stazione appaltante esclude il concorrente ed escute la garanzia.
Tale norma, a ben vedere, si pone in rapporto di specialità rispetto alla generale disciplina contenuta al comma 3 del medesimo art. 89, secondo cui la stazione appaltante, nel caso in cui rilevi che l’impresa ausiliaria non soddisfi i pertinenti criteri di selezione, ovvero sia gravata da un motivo di esclusione obbligatorio, impone all’operatore economico di sostituirla.
In altri termini – per il diritto italiano -, nell’ambito del contratto di avvalimento, a fronte di un generalizzato onere di sostituzione dell’impresa ausiliaria priva dei requisiti di partecipazione alla gara, vige l’obbligo di esclusione automatica del concorrente per l’ipotesi specifica in cui l’ausiliaria abbia presentato dichiarazioni non veritiere, con preclusione in tal caso del rimedio correttivo rappresentato dalla sostituzione.
Tanto premesso, investita della questione, la Sez. III del Consiglio di Stato ha rimesso alla CGUE la verifica della compatibilità di tale norma con il diritto comunitario.
La sentenza della Corte di Giustizia
In primis, la CGUE ha sottolineato che, conformemente all’articolo 57, paragrafi 4 e 7, della direttiva 2014/24, gli Stati membri hanno la facoltà di non applicare i motivi facoltativi di esclusione ivi indicati, o di integrarli nella normativa nazionale, con un grado di rigore che può variare a seconda dei casi, in funzione di considerazioni di ordine giuridico, economico o sociale prevalenti a livello nazionale.
Tuttavia, dalla formulazione dell’art. 63, paragrafo 1 della citata direttiva emerge che, sebbene gli Stati membri possano prevedere la sostituzione obbligatoria delle ausiliarie prive dei requisiti di partecipazione, essi non possono, per contro, privare le amministrazioni aggiudicatrici della facoltà di esigere autonomamente una siffatta sostituzione, imponendo l’esclusione automatica.
La disciplina comunitaria, infatti, non distingue le ipotesi di dichiarazioni mendaci dalla sussistenza di altri motivi di esclusione a danno dell’impresa ausiliaria, attribuendo in tutti i casi al concorrente la possibilità di sostituire l’ausiliaria al fine di rimediare all’irregolarità constatata e, conseguentemente, di dimostrare nuovamente la sua affidabilità.
La ratio sottesa a tale previsione è rappresentata dall’esigenza di non gravare il concorrente di responsabilità che esorbitano dalla propria sfera di controllo, evitando che incolpevolmente sopporti conseguenze pregiudizievoli a causa della condotta di un altro soggetto.
Di talché, solo se il concorrente non abbia adottato tempestivamente alcuna misura correttiva (rappresentata dalla sostituzione dell’ausiliaria carente dei requisiti), l’amministrazione è autorizzata a procedere con l’esclusione.
Pertanto, non è legittimo prevedere per il solo caso di dichiarazioni non veritiere dell’ausiliaria l’esclusione automatica del concorrente, ma deve essere concessa anche per queste ipotesi la previa possibilità di sostituire l’impresa ausiliaria (secondo il meccanismo sancito in via generale al comma 3 dell’art. 89).
Solo in tal modo, difatti, si garantisce una corretta declinazione del principio di proporzionalità.
A riguardo, i Giudici di Lussemburgo hanno evidenziato, peraltro, che, in ossequio a tale principio generale, l’amministrazione aggiudicatrice avrebbe dovuto tener conto maggiormente dei mezzi di cui l’offerente disponeva per verificare l’esistenza di una violazione in capo al soggetto sulle cui capacità intendeva fare affidamento (nel caso di specie, infatti, la condanna penale subita che l’ausiliaria aveva omesso di indicare non risultava nemmeno dal casellario giudiziario, con conseguente sussistenza di una difficoltà oggettiva per l’ausiliato di averne contezza).
Ciò posto, è stato specificato che la sostituzione del soggetto ausiliario non deve condurre ad una modifica sostanziale dell’offerta presentata dal concorrente, pena la violazione della par condicio tra i partecipanti.
Tanto premesso, la Corte ha dichiarato l’incompatibilità della disciplina italiana con il diritto UE.
Effetti nell’ordinamento interno della sentenza europea
In tutta la sua giurisprudenza, la Corte di giustizia ha sancito il principio della supremazia del diritto comunitario sul diritto interno dei singoli Stati membri, con annesso obbligo, per le amministrazioni e i giudici nazionali, di applicare pienamente il diritto dell’Unione nell’ambito della loro sfera di competenza e di tutelare i diritti conferiti da quest’ultimo ai cittadini, disapplicando qualsiasi contraria disposizione del diritto nazionale, sia essa precedente o successiva alla norma dell’Unione.
Ebbene, considerando che la CGUE è l’Istituzione cui è conferita la tutela della giustizia e dell’uniforme applicazione del diritto in tutto il territorio dell’Unione, le sue pronunce assumono il valore di fonti del diritto comunitarie, con conseguente obbligo di conformazione della normativa interna verso cui esse esplicano effetti.
Ne deriva che la disciplina prevista all’art. 89, comma 1 del codice degli appalti, nella parte in cui stabilisce che “(…) Nel caso di dichiarazioni mendaci, ferma restando l’applicazione dell’articolo 80, comma 12, nei confronti dei sottoscrittori, la stazione appaltante esclude il concorrente e escute la garanzia (…)” deve ritenersi non più applicabile per appurato contrasto con il diritto comunitario, con conseguente dovere per i giudici nazionali di disapplicarla, nonché di ridefinirne il tenore letterale per il legislatore.
Di talché, le amministrazioni appaltanti non sono più tenute ad escludere automaticamente un concorrente a causa delle dichiarazioni non veritiere fornite dall’impresa ausiliaria, dovendo previamente concedere, anche in tali casi, la possibilità di sostituzione di quest’ultima.
Fonte: ANCE