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Circolari, Pareri e Sentenze

Prelevamenti dell’imprenditore: il bancario “conta”

23 Aprile 2021
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I prelevamenti effettuati dall’imprenditore, diversamente da quanto accade nei confronti dei titolari di reddito di lavoro autonomo e/o nei confronti dei professionisti, sono considerati ricavi e valgono ai fini dell’accertamento bancario.
Questo il principio ribadito dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 5732 del 3 marzo 2021.

Fatto e processo di merito
La vicenda originava dal ricorso di un contribuente siciliano contro un avviso di accertamento, con cui l’Agenzia delle entrate, sulla base dell’esame di movimentazioni bancarie, aveva rettificato il reddito dichiarato dal ricorrente.
La Ctp di Catania, investita in prime cure della vertenza, accoglieva parzialmente il ricorso, limitatamente agli importi riferibili ai prelevamenti.
Dello stesso parere si dimostrava la Ctr della Sicilia, sezione distaccata di Catania, che respingeva l’appello proposto dall’Amministrazione finanziaria.
In particolare, il Collegio d’appello riteneva che la Ctp avesse correttamente applicato il principio di diritto secondo il quale, in materia di accertamenti basati sulle indagini finanziarie ex articolo 32 del Dpr n. 600/1973, i prelevamenti per i soggetti liberi professionisti e/o lavoratori autonomi non possono assurgere a maggiori ricavi non dichiarati.

Ricorso per cassazione
Proponeva ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate, affidato a due motivi di diritto, di cui solo il secondo appare di interesse per i fini che ci occupano.
In particolare, l’ufficio denunciava la violazione nonché la falsa applicazione degli articoli 32 Dpr N. 600/1973 e 51 Dpr 633/1972, per avere la Ctr omesso di considerare che il contribuente, nell’anno d’imposta in considerazione, esercitava attività di impresa e non di lavoro autonomo, di modo che non spiegava effetti, nei suoi confronti, la pronuncia della Corte costituzionale n. 228 del 2014, su cui il Collegio d’appello aveva incentrato la statuizione sul punto.

Ordinanza
Nell’accogliere il motivo di ricorso avanzato dall’Amministrazione finanziaria, la Cassazione premette che, a seguito della pronuncia della Corte costituzionale testé menzionata, la presunzione legale posta dall’articolo 32 Dpr n. 600/1973, secondo cui i prelevamenti sono considerati ricavi, può essere utilizzata nei confronti dei soli imprenditori e non anche dei lavoratori autonomi.
Ecco che, quindi, risulta dirimente l’accertamento in concreto dell’attività svolta dal contribuente.

Imprenditore: prelevamenti = ricavi
Nel caso di specie, l’Agenzia delle entrate aveva dedotto che il contribuente, nel ricorso di primo grado, aveva dichiarato di svolgere attività commerciale e che il medesimo, nel periodo d’imposta in questione, risultava iscritto alla competente Camera di commercio, industria, artigianato ed agricoltura in qualità di titolare di ditta individuale per l’esercizio dell’attività di “commercio al minuto di album, cornici, materiale cinefotografico ed accessori”.
Ciononostante, la Ctr si era limitata ad affermare, in modo del tutto apodittico, che “i prelevamenti per i soggetti liberi professionisti e/o lavoratori autonomi non possono assurgere a maggiori ricavi non dichiarati” omettendo, in effetti, di valutare, ai fini dell’operatività della presunzione legale anche per i prelevamenti, se, come dedotto dall’Ufficio, il contribuente svolgesse attività di impresa nel periodo oggetto di accertamento.
Da qui, la cassazione della sentenza impugnata.

Osservazioni conclusive
Con il deliberato annotato, la Cassazione dà corso all’orientamento espresso in più occasioni dallo stesso Collegio di nomofilachia, secondo cui, in tema di accertamento sulla base delle indagini finanziarie, se i versamenti non giustificati presumono un maggior reddito con riferimento a tutte le tipologie di contribuenti, i prelevamenti hanno invece valore presuntivo solo nei confronti dei titolari di reddito di impresa (cfr, ex multis, Cassazione n. 23859/2019).
Si tratta, come noto, di una presunzione legale relativa (iuris tantum e non juris et de jure), che ammette prova contraria, potendo “il contribuente” dimostrare “che … ha tenuto conto” dei dati risultanti dalle indagini finanziarie “per la determinazione del reddito o che non” hanno “avuto rilevanza allo stesso fine” (articolo 32, comma 1 n. 2 Dpr 600/1973).
La giurisprudenza invocata si è consolidata all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014, già richiamata, che ha dichiarato incostituzionale la norma di cui all’articolo 32 Dpr N. 600/73 nella parte in cui presumeva il prelevamento non giustificato riconducibile al compenso non dichiarato per i possessori di reddito di lavoro autonomo. In sostanza, secondo la Consulta non appare attendibile che il lavoratore autonomo – diversamente dall’imprenditore – acquisti merce in nero al fine di rivenderla sempre in nero.
Ma ciò, si badi bene, riguarda l’efficacia presuntiva dei soli prelevamenti dei lavoratori autonomi: diversamente, la presunzione di redditività dei versamenti non giustificati ha applicazione generalizzata a tutta la platea dei contribuenti, nonostante una parte della giurisprudenza di legittimità – per vero minoritaria ed ormai risalente – si fosse spinta a dichiarare l’inapplicabilità della presunzione legale per i professionisti non solo per i prelevamenti non giustificati, ma anche per i versamenti non giustificati (cfr. Cassazione nn. 23041/2015; 12779/2016; 12781/2016; 16440/2016).

Fonte: Fisco Oggi

 

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