La Corte di cassazione, con la sentenza n. 1557 dello scorso 26 gennaio, ha chiarito che il Codice dell’amministrazione digitale (Cad) si applica anche all’attività di accertamento dell’Agenzia delle entrate, diversamente dagli atti propedeutici all’esercizio del potere di accertamento, che ne sono esclusi.
Fatto e processo di merito
Al centro della vicenda vi era l’impugnazione di un avviso di accertamento, con cui, in seguito alla definitività di un altro avviso per un maggior reddito di impresa, emesso a carico di una srl, premessa la ristretta base azionaria, l’amministrazione finanziaria imputava al socio al 51% un maggior reddito di capitale, in proporzione alla sua quota di partecipazione agli utili.
Sia la Ctp di Livorno, accogliendo il ricorso introduttivo, che la Ctr Toscana – sezione distaccata di Livorno – rigettando l’appello dell’ufficio, concordavano con la prospettazione del contribuente.
In particolare, la Ctp aveva ritenuto fondata l’eccezione preliminare, relativa alla carenza di valida sottoscrizione dell’avviso impugnato che, ritenuta l’inapplicabilità delle formalità di cui al Codice dell’amministrazione Digitale, come modificato dal Dlgs n. 179/2016, non recava firma autografa, bensì digitale, e risultava notificato in copia cartacea anziché a mezzo Pec.
Secondo la Ctr, la decisione di prime cure era condivisibile, con assorbimento degli ulteriori motivi, in quanto:
– la firma a stampa (articolo 1, comma 375, legge n. 311/2014) era ammissibile solo per gli accertamenti emessi a seguito di procedure automatizzate
– l’apposizione di una firma digitale a un avviso di accertamento notificato prima del 27 gennaio 2018 era causa di nullità dell’atto, per difetto di sottoscrizione
– solo per gli atti notificati a decorrere dal 1° luglio 2017 la combinazione firma digitale/notifica a mezzo Pec consentiva il rispetto della procedura informatica della normativa vigente ratione temporis.
Ricorso per cassazione
L’ufficio proponeva ricorso di legittimità, affidato a un unico motivo, premettendo che le norme del Codice dell’amministrazione digitale vanno ritenute applicabili anche alle funzioni istituzionali di accertamento dell’Agenzia delle entrate, applicabilità esclusa, ai sensi dell’articolo 2, comma 6, del richiamato Codice, come modificato, a decorrere dal 14 settembre 2016, dall’articolo 2, comma 1, lettera c) Dlgs n. 179/2016, solo per le “attività e funzioni ispettive e di controllo fiscale”.
Tale interpretazione, continuava l’ufficio, era confermata dall’ulteriore modifica dell’articolo 2 a opera dell’articolo 2 del Dlgs n. 217/2017 che, mediante l’aggiunta del comma 6-bis, rendeva esplicita tale applicazione. Inoltre, sottolineava l’amministrazione finanziaria, la copia cartacea notificata al contribuente presentava l’attestazione di conformità, prevista dall’articolo 23 dello stesso Codice.
Infine, concludeva l’ufficio, la possibilità di notificare a mezzo Pec anche gli atti impositivi era stata introdotta solo a decorrere dal 1° luglio 2017 con l’inserimento del comma 7 all’articolo 60 del Dpr n. 600/1973, sicché, prima di tale data, l’Agenzia aveva correttamente proceduto all’invio della copia analogica munita di attestazione di conformità.
Decisione
Nell’accogliere il ricorso e nel riordinare la stratificata materia di riferimento, la Corte premette che la normativa in tema di digitalizzazione della pubblica amministrazione, anche in conseguenza degli obblighi di adeguamento al Regolamento comunitario “Eidas” (Electronic identification and trust services regulation), entrato in vigore il 17 settembre 2014, e divenuto applicabile a decorrere dal 1° luglio 2016, impone ormai come regola generale l’adozione dei documenti informatici, residuando come eccezione il mantenimento dei documenti analogici.
Codice dell’amministrazione digitale
Ai sensi dell’articolo 40 del Cad, rileva il Collegio di legittimità, le pubbliche amministrazioni formano gli originali dei propri documenti, con mezzi informatici, secondo le regole tecniche fissate dal Dpcm del 13 novembre 2014.
Posto quanto precede, quindi, l’interpretazione dell’articolo 2, comma 6, del Cad, vigente ratione temporis, proposta dall’Agenzia delle entrate, deve essere condivisa, secondo la Cassazione, per una serie di ragioni, sia di tipo letterale che sistematico.
Anzitutto, sul piano terminologico, gli atti impositivi non rientrano tra gli atti emessi “nell’esercizio” delle attività e funzioni ispettive e di controllo fiscale, a cui sono certamente riconducibili gli atti adottati in occasione di indagini e verifiche ispettive propedeutiche all’esercizio del potere di accertamento e di irrogazione di sanzioni, bensì tra gli atti eventualmente emessi “all’esito” delle attività e funzioni ispettive e di controllo fiscale, attività che potrebbero anche concludersi con un esito favorevole per il contribuente, e, quindi, senza l’emissione di un atto impositivo.
“Atti impositivi” e attività di verifica
La distinzione tra l’attività accertativa e quella preliminare di verifica e controllo risulta, poi, immanente nella normativa fiscale vigente.
In tema di imposte dirette, infatti, osserva la Corte, la definizione, in termini distintivi, è presente già nella rubrica del titolo quarto del Dpr n. 600/1973, denominato “Accertamento e controllo”, dove le attività di controllo, autonomamente regolate agli articoli 32 e 33 dello stesso decreto, si realizzano attraverso accessi, ispezioni e verifiche, inviti a comparire e richieste di documentazione che richiedono una diretta interlocuzione con il contribuente, prevedono la cooperazione della Guardia di finanza nonché di qualsiasi altro soggetto pubblico incaricato istituzionalmente di svolgere attività ispettive o di vigilanza.
Prerogativa esclusiva dell’amministrazione finanziaria è, invece, l’adozione degli atti impositivi, di cui agli articoli 36-bis, 36-ter, 38, 39 eccetera, che hanno a oggetto la liquidazione delle imposte o delle maggiori imposte e delle eventuali sanzioni.
Anche il Dpr n. 633/1972, in tema di Iva, regola separatamente, all’articolo 52, gli accessi, le ispezioni e le verifiche e, agli articoli 54 e seguenti le rettifiche e gli accertamenti.
Lo Statuto del contribuente, osserva poi la Cassazione, in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, all’articolo 12, comma 7, conferma la distinzione delle due attività imponendo, a pena di illegittimità dell’atto impositivo emesso “ante tempus“, l’osservanza di un termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento, decorrente dal rilascio, al soggetto nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni.
La ratio dell’esclusione degli atti propedeutici all’esercizio del potere di accertamento è, secondo i togati di legittimità, correttamente reperibile nel fatto che, nell’ambito di tali attività di verifica, si impone la partecipazione del contribuente che potrebbe non essere munito di firma digitale, sicché l’applicazione del Cad determinerebbe un aggravio dei suoi diritti di difesa e un ostacolo al rapporto di collaborazione che dovrebbe sempre ispirare tali momenti.
Interventi normativi successivi
La coerenza del sistema, a parere della Cassazione, è stata corroborata anche dagli interventi normativi successivi.
La modifica apportata all’articolo 60 del Dpr n. 600/1973, a opera dell’articolo 7-quater, comma 6, Dl n. 193/2016, con l’inserimento del comma 6, che ha introdotto la possibilità della notifica a mezzo Pec degli avvisi di accertamento, tende, infatti, a una implementazione dell’utilizzo dei documenti informatici.
Il comma 6-bis, aggiunto all’articolo 2 del Cad, dall’articolo 2, lettera e), Dlgs n. 217/2017, ne sancisce, poi, espressamente l’applicabilità “agli atti di liquidazione, rettifica, accertamento e di irrogazione delle sanzioni di natura tributaria” e rimette a un successivo decreto l’adozione delle modalità e dei termini per l’applicazione anche alle “attività e funzioni ispettive e di controllo fiscale“.
Da quest’ultima norma non può che trarne conferma l’impostazione esegetica che distingue l’attività di accertamento da quella di controllo fiscale.
Conclusioni
Ecco che, alla ritenuta applicabilità del Cad, consegue la legittimità della notifica di una copia analogica conforme a un documento informatico.
Ai sensi dell’articolo 23 del Cad, infatti, “le copie su supporto analogico di documento informatico, anche sottoscritto con firma elettronica avanzata, qualificata o digitale hanno la stessa efficacia probatoria dell’originale da cui sono tratte se la loro conformità all’originale in tutte le sue componenti è attestata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato“.
Nel caso di specie, in particolare, l’atto impositivo notificato in copia cartacea presentava l’attestazione di conformità all’originale e tanto è sufficiente – a parere della Corte – a dimostrare l’avvenuta sottoscrizione dell’atto e a conferirgli un valore probatorio equiparato all’originale informatico (cfr Cassazione n. 15074/2017).
Non sussistendo alcun indispensabile o necessario collegamento tra documento informatico e notifica a mezzo Pec, nulla impedisce, in definitiva, che una copia analogica di un documento informatico conforme all’originale venga notificata secondo le regole ordinarie della notifica a mezzo posta.
Tra l’altro, la possibilità di una notifica a mezzo Pec, per gli atti impositivi, è stata introdotta solo a decorrere dal primo luglio 2017, a seguito dell’aggiunta del comma 6 all’articolo 60 del Dpr n. 600/1973 a opera dell’articolo 7-quater, comma 6, del Dl n. 193/2006: quindi, l’Agenzia, non potendo utilizzare la notifica a mezzo Pec prima di tale data, aveva correttamente proceduto alla notifica ordinaria di una copia analogica dell’atto informatico, munita della prescritta attestazione di conformità.
Fonte: FiscoOggi