Soppalco abitabile o locale accessorio: come si fa a valutare l’eventuale abuso edilizio? Lo chiarisce il Consiglio di Stato con la sentenza n. 6681 del 30 ottobre 2020 che ci permette di fare chiarezza su un argomento molto interessante.
Soppalchi e abusivismo
A proporre ricorso al Consiglio di Stato un comune campano che chiede l’annullamento della sentenza di primo grado che aveva dato ragione alla proprietaria di un immobile in cui erano stati realizzati tre soppalchi, in assenza, secondo l’amministrazione comunale, di permesso di costruire e in violazione delle altezze minime previste dalla legge. Era stato effettuato anche un sopralluogo della polizia municipale che aveva accertato la realizzazione “di solai intermedi o, meglio aree di sbarazzo”. Per il Tar la signora aveva ragione visto che, secondo i giudici di primo grado, “l’amministrazione avrebbe definito le opere realizzate quali “soppalchi”, dal momento che invece, come desumibile dallo stesso verbale redatto alla Polizia Municipale, si tratterebbe di strutture di ridotte dimensioni, assolutamente non idonee all’uso abitativo, destinate solo a deposito”. Quindi le opere realizzate non rientrerebbero tra gli interventi sottoposti al regime del permesso di costruire, ma a quelli subordinati alla semplice denuncia di inizio attività. Quindi era illegittima la richiesta di demolizione delle opere realizzate. Per il comune, però, nonostante ammetta che i soppalchi abbiano in effetti altezze inferiori a quelle minime previste, questi sono stati realizzati senza titolo edilizio e sono soggetti alla demolizione.
Locali accessori necessitano di autorizzazione?
Per il Consiglio di Stato, la sentenza del giudici di primo grado è valida. Infatti i soppalchi realizzati, sono dei locali accessori destinati esclusivamente a deposito. Quindi, dicono i giudici, “è necessario il permesso di costruire quando il soppalco sia di dimensioni non modeste e comporti una sostanziale ristrutturazione dell’immobile preesistente, con incremento delle superfici dell’immobile e ulteriore carico urbanistico; rientra invece nell’ambito degli interventi edilizi minori il soppalco che, per le dimensioni e l’altezza modesta o le modalità di realizzazione (ad esempio vano chiuso, senza finestre o luci), sia tale da non incrementare la superficie dell’immobile e in particolare quello che non sia suscettibile di utilizzo come stanza di soggiorno a sé stante”.
Aree di sbarazzo
Per i giudici è chiaro che i soppalchi realizzati non potessero avere il permesso di costruire. E si evidenzia anche dal verbale della polizia municipale che ha effettuato il sopralluogo e li ha descritti come “aree di sbarazzo”, “quindi aree destinate esclusivamente ad una funzione di deposito a cui estranea una funzione abitativa”. Non c’è traccia nel verbale, e comunque il comune non ha mai contestato questa affermazione, che nei soppalchi vi siano luci o finestre o opere di collegamenti tra l’area soppalcata e l’area sottostante per permettere l’accesso di persone. Ecco perché, la natura stessa delle opere realizzate, prive di qualsiasi funzione abitativa, non si deve attenere alle norme contenute nella legge numero 457 del 1978 e del decreto ministeriale del 5 luglio 1975 in materia di altezze minime, trattandosi di norme, scrivono i giudici, “tese a salvaguardare la salubrità degli ambienti abitativi”. In ogni caso, il regolamento comunale del comune che ha fatto ricorso, prevede la realizzazione di soppalchi come intervento di “restauro e risanamento conservativo” che, in base al Dpr numero 380 del 2001, “era effettuabile al momento del provvedimento impugnato, con DIA (ora con SCIA), per la cui mancanza è irrogabile la sanzione pecuniaria, confermando, dunque, l’illegittimità del provvedimento di ripristino impugnato con il ricorso di primo grado”. In conclusione, l’appello è infondato e deve essere respinto.