Gara ponte, accordo quadro, centrali di committenza e quota subappaltabile. Ci sono tutti gli ingredienti per rendere interessante la sentenza del Tar Lazio n. 1130 del 4 novembre 2020 che giudica un ricorso di una società per l’annullamento di bando di gara.
Perché il ricorso
Secondo la società, la gara va annullata perché era impossibile fare una offerta seria e consapevole, sia sul piano economico che su quello tecnico. L’importo complessivo della gara in questione sarebbe, per la società che ha proposto il ricorso, inferiore a quello indicato negli atti programmatori. Insomma non ci sarebbe la copertura finanziaria per poter garantire i due anni di contratto. Il secondo motivo di ricorso è il fatto che la Regione Lazio non ha inserito nella pianificazione delle gare centralizzate il servizio richiesto, ricorrendo ad una gara ponte.
Gara ponte, il Tar spiega
La legge n. 89/2014, di conversione del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, ha introdotto nuove disposizioni normative in materia di acquisizione di beni e servizi attraverso soggetti aggregatori. Entro il 31 dicembre di ogni anno, sulla base di analisi del Tavolo dei soggetti aggregatori e in ragione delle risorse messe a disposizione “sono individuate le categorie di beni e di servizi nonché le soglie al superamento delle quali le amministrazioni statali centrali e periferiche, ad esclusione degli istituti e scuole di ogni ordine e grado, delle istituzioni educative e delle istituzioni universitarie, nonché le regioni, gli enti regionali, gli enti locali, nonché loro consorzi e associazioni, e gli enti del servizio sanitario nazionale ricorrono a Consip o agli altri soggetti aggregatori per lo svolgimento delle relative procedure”.
Una circolare del Ministero dell’Economia e delle Finanze e del Ministero della Salute specifica i passaggi relativi all’acquisizione di beni e servizi nel settore della sanità. “In assenza di iniziative attive, se il Soggetto Aggregatore di riferimento ha in programma un’iniziativa che tuttavia è in fase di avvio e comunque non ancora perfezionata, è possibile stipulare un contratto ponte per lo “stretto tempo necessario” all’avvenuta attivazione del contratto da parte del Soggetto Aggregatore di riferimento o Consip, eventualmente inserendo clausola di autotutela che consenta di risolvere il contratto anticipatamente; stipulare un contratto ponte “per la ripetizione di servizi analoghi”, per lo “stretto tempo necessario” all’avvenuta attivazione del contratto da parte del Soggetto Aggregatore di riferimento o Consip, eventualmente inserendo clausola di autotutela che consenta di risolvere il contratto anticipatamente; prorogare il contratto, nel caso in cui vi sia espressa previsione nel bando di gara iniziale (con procedura aperta o ristretta) e nei termini in esso disciplinati, e comunque non oltre la data di attivazione da parte del Soggetto Aggregatore di riferimento o di Consip”.
Procedure autonome, quando?
La legge n. 232/2016 prevede che “le amministrazioni pubbliche obbligate a ricorrere a Consip o agli altri soggetti aggregatori, possono procedere, qualora non siano disponibili i relativi contratti di Consip Spa o dei soggetti aggregatori e in caso di motivata urgenza, allo svolgimento di autonome procedure di acquisto dirette alla stipula di contratti aventi durata e misura strettamente necessaria. In tale caso l’Autorità nazionale anticorruzione rilascia il codice identificativo di gara. Nel caso analizzato, dice il Tar Lazio “l’operato della amministrazione si presenta conforme all’ordinamento giuridico, non essendo contestata l’assenza di iniziative attive della Regione Lazio con riguardo al servizio in questione ed essendo stata espressamente prevista negli atti di gara la risoluzione anticipata del rapporto contrattuale nell’ipotesi in cui la gara centralizzata inserita negli atti di programmazione regionale venga completata e diventi operativa prima della scadenza del rapporto contrattuale stipulato a seguito della procedura di gara de qua”.
Accordo quadro, perché sì alla procedura aperta
Secondo il Tar non è motivo valido di ricorso il fatto che l’amministrazione, ai fini della individuazione degli operatori economici con i quali stipulare l’Accordo quadro, abbia fatto ricorso alla procedura aperta anziché alle procedure negoziate, essendo le procedure di gara aperte sempre da preferire rispetto alle procedure ristrette o negoziate, in quanto conformi ai principi di trasparenza e di “favor partecipationis”. “D’altra parte – dicono i giudici del Tar – non vengono evidenziate dalla ricorrente le ragioni per le quali il ricorso ad una procedura aperta, rispetto ad una procedura negoziata, si sia tradotto in un vulnus rispetto al suo diritto di partecipare alla procedura di gara.
Piano economico e la dichiarazione “di scienza”
Una certezza: gli atti di programmazione del fabbisogno di beni e servizi sono adottati dalle Pubbliche amministrazioni sulla base di una previsione dei fabbisogni futuri. Questo vuol dire che non si tratta di atti immodificabili, ma possono essere aggiornati in relazione alle esigenze emerse successivamente alla loro adozione. Nel caso analizzato dal Tar Lazio “è riportato il parere favorevole del Direttore dell’Unità Organizzativa Complessa Pianificazione strategica, Programmazione e Controllo di Gestione, attestante la copertura economica della spesa di cui al predetto provvedimento”. Ma c’è di più, spiegano i giudici. Infatti la dichiarazione della copertura finanziaria espressa dal Dirigente “costituisce dichiarazione di scienza (che si colloca tra gli atti di certificazione o di attestazione) espressa da un pubblico ufficiale, facente prova fino a querela di falso. Non avendo la ricorrente proposto querela di falso, né avendo chiesto termine per contestare nelle sedi competenti la veridicità dell’attestazione, le considerazioni svolte a riguardo dalla parte ricorrente non possono essere condivise”.
Subappalto, quota massima al 40 per cento?
Secondo la società che ha fatto ricorso, un motivo valido per annullare il bando di gara era il fatto che all’interno del disciplinare di gara fosse stata fissata al 40% la quota massima dell’appalto subappaltabile, in contrasto con le conclusioni cui è pervenuta la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (sentenza 27 novembre 2019, C – 402/18 e 26 settembre 2019 C –63/18) in cui si afferma che “la direttiva (2014/24/UE) del Parlamento europeo e del Consiglio sugli appalti pubblici deve essere interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale (come quella presa in analisi in questo ricorso) che limita al 30% la parte dell’appalto che l’offerente è autorizzato a subappaltare a terzi”.
Per il Tar, però, non è così. “La pronuncia richiamata, pur avendo censurato il limite al subappalto previsto dal diritto interno nella soglia del 30% dei lavori, non esclude la compatibilità con il diritto dell’Unione di limiti superiori. Di conseguenza la Corte ha considerato in contrasto con le direttive comunitarie in materia il limite fissato, non escludendo invece che il legislatore nazionale possa individuare comunque, al fine di evitare ostacoli al controllo dei soggetti aggiudicatari, un limite al subappalto proporzionato rispetto a tale obiettivo. Pertanto non può ritenersi contrastante con il diritto comunitario l’attuale limite pari al 40% delle opere”. D’altronde la legge numero 55 del 2019 parla chiaro: “Il subappalto è indicato dalle stazioni appaltanti nel bando di gara e non può superare la quota del 40 per cento dell’importo complessivo del contratto di lavori”. Insomma per la società che ha fatto ricorso un clamoroso buco nell’acqua. Il Tar Lazio ha respinto tutto.