Non si possono demolire degli immobili e costruire un nuovo edificio, di volumetria pari alla somma di quelli abbattuti, senza permesso di costruire. È arrivata a queste conclusioni la Corte di Cassazione, che con la sentenza 23010/2020 ha spiegato quando una demolizione e ricostruzione può qualificarsi come ristrutturazione e quando, invece, è un abuso edilizio.
Nel caso preso in esame dai giudici, il proprietario di un suolo agricolo, su cui si trovavano quattro edifici, li aveva demoliti, ricostruendone uno solo. Il nuovo edificio aveva una volumetria pari alla somma di quelli demoliti ed era stato ricostruito in un’area di sedime diversa.
Dopo un contenzioso con i proprietari vicini, il responsabile era stato condannato al pagamento di una multa e alla pena dell’arresto, ma aveva presentato ricorso.
La Cassazione ha bollato come “lottizzazione abusiva di terreni agricoli a scopo edificatorio” la demolizione di diversi corpi di fabbrica distanti tra loro e la edificazione, al loro posto, di un unico immobile mediante accorpamento delle volumetrie espresse da quelli precedenti.
Questa ricostruzione, secondo i giudici, non può rientrare nella definizione di ristrutturazione edilizia pesante. La Cassazione ha sottolineato che, in base all’articolo 3, comma 1, lettera d), del testo Unico dell’edilizia (Dpr 380/2001), il presupposto della ristrutturazione edilizia è la conservazione dell’immobile preesistente, del quale deve essere garantito il recupero.
I giudici hanno sottolineato che l’intervento era consistito invece nella demolizione “pura e semplice” di tre dei quattro edifici e che solo uno di essi era stato ricostruito sommando alla volumetria preesistente quella degli altri tre edifici non ricostruiti.
I giudici hanno concluso che l’intervento, implicante una trasformazione urbanistica del territorio, dovesse essere classificato come nuova costruzione. Per la sua realizzazione sarebbe stato necessario richiedere il permesso di costruire.
L’articolo 3, comma 1, lettera d) del Testo Unico dell’edilizia, lo ricordiamo, è stato modificato dal Decreto Semplificazioni (L.120/2020). La modifica ha riscritto la definizione di ristrutturazione edilizia, che può portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente.
La ristrutturazione edilizia comprende il ripristino o la sostituzione degli elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione o l’inserimento di nuovi elementi ed impianti, la demolizione e ricostruzione con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica, per l’applicazione della normativa sull’accessibilità, per l’istallazione di impianti tecnologici e per l’efficientamento energetico.
È consentita la ricostruzione con incrementi di volumetria solo se prevista dalla legislazione vigente, dagli strumenti urbanistici comunali o per promuovere interventi di rigenerazione urbana. Gli immobili tutelati e quelli situati nei centri storici possono essere demoliti e ricostruiti con stessi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche e senza incrementi di volumetria.
Tornando al caso oggetto della sentenza 23010/2020, a prescindere dalle modifiche intervenute, l’intervento non si sarebbe comunque qualificato come ristrutturazione perchè realizzato con demolizioni non seguite da ricostruzioni e con un ampliamento volumetrico non consentito dalle norme vigenti.