Nell’ambito di un contratto di appalto (tra cui anche quello per l’esecuzione di lavori edili di qualsiasi natura) al committente è consentito, per espressa previsione legislativa, di recedere in qualsiasi momento, senza necessità di preavviso e senza che tale scelta sia necessariamente collegata ad un inadempimento della controparte ma anche per la sola sfiducia verso l’appaltatore (Corte appello Milano sez. IV, 03/04/2020, n. 857; Trib. Oristano, 1/8/2019, n. 453; Cass. Civ. n. 21595/2014; Cass. Civ n. 14781/2012, Cass. Civ. n.9645/2011).
RECESSO DEL COMMITTENTE: AMBITO E LIMITI
L’articolo 1671 del codice civile prevede, infatti, la facoltà per il committente di recedere unilateralmente da un contratto di appalto validamente concluso. Il committente può avvalersi di tale diritto in un qualsiasi momento successivo alla conclusione del contratto anche se i lavori sono già iniziati e a prescindere da eventuali inadempienze dell’altro contraente (Cass. civile sez. II, 4/7/2017, n. 16404 ). Secondo la giurisprudenza, il recesso può avere luogo per qualsiasi causa, il cui accertamento non è neppure richiesto ai fini della legittimità del recesso, non essendo configurabile un diritto dell’appaltatore alla realizzazione dell’opera o allo svolgimento del servizio, la cui prosecuzione risponde esclusivamente all’interesse del committente (Tribunale Perugia sez. I, 01/07/2019, n.1036; Cass. Civ. n. 9645/2011; Cass. Civ. n. 10742/2008; Cass. Civ. n. 20811/2014).
Tale facoltà, che sembrerebbe essere, quindi, esercitabile senza particolari presupporti e condizioni, può però trovare un limite nel rispetto del principio di correttezza e buona fede. Infatti, si ritiene che tale facoltà debba essere, comunque e auspicabilmente, utilizzata in via eccezionale.
L’APPALTATORE HA DIRITTO AD ESSERE INDENNIZZATO
Se il committente si avvale della facoltà di recedere, l’unica condizione che l’art. 1671 c.c. espressamente disciplina (Tribunale Roma sez. XI, 14/05/2014, n.10617) è l’indennizzo che questi deve corrispondere all’appaltatore: per le spese sostenute, i lavori eseguiti e il mancato guadagno.
Le “spese sostenute” possono essere sia quelle che non sono ancora state tradotte nell’opera oggetto del contratto (ad esempio, quelle per l’acquisto di materiali rimasti inutilizzati) sia quelle “generali” proporzionalmente alla parte rimasta ineseguita.
Il valore dei “lavori eseguiti” deve essere valutato in base dei prezzi contrattuali.
Il “mancato guadagno” consiste non in quel margine di profitto che l’appaltatore poteva sperare o prevedere di conseguire al momento della stipulazione del contratto, ma in quello che avrebbe “effettivamente conseguito” se avesse portato a termine i lavori. Esso è costituito dalla differenza tra il pattuito prezzo globale dell’appalto e le spese che si sarebbero rese necessarie per la realizzazione delle opere. Per tale voce incombe però sull’appaltatore l’onere di dimostrare quale sarebbe stato l’utile netto conseguibile con la completa esecuzione delle opere oggetto del contratto (Cass. Civ., sez. II , 17/7/2020 , n. 15304; Cassazione civile sez. II, 4/7/2017, n. 16404). Secondo la giurisprudenza resta, comunque, salva per il committente la facoltà di provare che l’interruzione dell’appalto non ha impedito all’appaltatore di realizzare guadagni sostitutivi, ovvero gli ha procurato vantaggi diversi (Tribunale Roma sez. XI, 8/1/2020, n.312, Tribunale L’Aquila, 11/7/2019, n.555) ad esempio, dimostrando che l’impresa, dopo la revoca dell’incarico, abbia comunque reperito altri clienti in modo tale da impiegare le proprie risorse produttive e da procurarsi un pari guadagno.
DEROGHE CONTRATTUALI
Nella prassi sono ammissibili clausole con cui i contraenti decidono di disciplinare in maniera diversa il recesso, ad esempio, inserendo condizioni volte ad imporre alle parti particolari requisiti di tempo e di forma per l’efficace esercizio del diritto di recesso come è la previsione di un termine perentorio entro cui il diritto di recesso debba essere esercitato dal committente, tramite raccomandata o in forma equivalente.
Le parti possono anche decidere di regolare, in maniera anticipata e forfettaria, l’indennizzo dovuto per le spese, i lavori eseguiti ed il mancato guadagno, previsti a favore dell’appaltatore. In tal caso occorrerà prestare però particolare attenzione affinchè ciò non porti a una clausola vessatoria che consenta al committente di ridurre a proprio vantaggio l’esborso dovuto all’appaltatore in caso di esercizio del diritto di recesso, soprattutto per quanto concerne la parte relativa al mancato guadagno.