Con la recente sentenza C-3/19, ASMEL Soc. cons. a r.l vs. ANAC, la seconda sezione della Corte di Giustizia avvia alla conclusione la complessa controversia tra ASMEL S. c. a r.l. e l’ANAC originatasi a seguito dell’adozione della delibera n. 32 del 30 aprile 2015, con la quale l’Autorità ha inibito ad ASMEL lo svolgimento di attività di intermediazione negli acquisti pubblici ed ha ritenuto prive del presupposto di legittimazione le gare già condotte da quest’ultima, per via dell’inosservanza dei modelli organizzativi per le centrali di committenza previsti dal diritto nazionale, ossia, segnatamente, dall’articolo 33, comma 3 bis, del d.lgs. 163/2006 (applicabile ratione temporis alla vicenda in commento).
Ciò, in quanto, a parere dell’ANAC, ASMEL è un soggetto giuridico di natura privatistica, regolato dal Codice civile, laddove per le centrali di committenza viene imposta la forma pubblicistica (ente pubblico ovvero associazione di enti locali, quali unioni e consorzi di Comuni, nelle forme previste dal TUEL) o, in caso di ricorso a soggetti privati con funzioni di centralizzazione degli acquisti, la forma necessaria è quella della società in house, con un raggio di operatività limitato al territorio dei comuni fondatori; ciò, mentre ASMEL non sarebbe sottoposta ad alcun “controllo analogo” da parte delle Amministrazioni servite.
ASMEL ha quindi impugnato tale provvedimento dinnanzi al TAR Lazio, ritenendo di poter assumere il ruolo di soggetto aggregatore di natura sostanzialmente pubblicistica in quanto “organismo di diritto pubblico”; tuttavia, il TAR territoriale ha respinto il ricorso (TAR Lazio – Roma, sez. III – sentenza 22 febbraio 2016 n. 2339), non rilevando in capo ad ASMEL i requisiti dell’organismo di diritto pubblico e confermandone, anzi, l’estraneità ai modelli organizzativi delle centrali di committenza normativamente previsti.
La pronuncia del TAR, quindi, è stata ulteriormente appellata da ASMEL al Consiglio di Stato, sostenendo, in particolare:
* da un lato, che il consorzio di diritto privato (forma giuridica di ASMEL Consortile) non presenta incompatibilità con le disposizioni del d.lgs. n. 163/2006 sulle centrali di committenza;
* dall’altro lato, che la normativa nazionale non impone alcuna limitazione territoriale all’operatività delle centrali di committenza.
Nell’ordinanza di rinvio pregiudiziale (sez. V – ordinanza 3 gennaio 2019 n. 68), allora, il Consiglio di Stato ha dato immediatamente atto che il d. lgs. n. 163/2006 (all’art. 33, comma 3 bis) prevede che i piccoli comuni possano rivolgersi a centrali di committenza configurate solo secondo due precisi modelli organizzativi, vale a dire quelli dell’unione dei comuni ovvero del consorzio tra enti locali (artt. 31 e 32 TUEL, d.lgs. n. 267/2000).
Ed è proprio intorno a questa limitazione che il Supremo Consesso, dubitando della legittimità comunitaria di tale normativa interna, ha sospeso il giudizio ed ha sottoposto la questione alla Corte di Giustizia, sollevando i seguenti interrogativi:
In primo luogo, va chiarito che l’art. 33, comma 3 bis del d.lgs. n. 163/2006 è stato, naturalmente, soppiantato dal Codice attualmente vigente e, nella particolare materia de qua, dall’art. 37, comma 4, d.lgs. n. 50/2016. Tuttavia, quest’ultima norma (sostanzialmente confermativa di quella pregressa) risulta al momento inapplicabile, in quanto temporaneamente sospesa, sino alla fine dell’anno, dal D.L. “Sblocca cantieri” (n. 32/2019).
Per tale ragione, quindi, la Corte di giustizia ha ritenuto che “il procedimento principale resta disciplinato da tale disposizione” (ossia, l’art. 33 del codice previgente), ricusando, così, i dubbi sulla ricevibilità del ricorso manifestati dalla Commissione europea nel corso del giudizio.
Ciò posto, con riferimento alla prima questione, i Giudici comunitari hanno affermato il diritto nazionale è autorizzato a limitare l’autonomia organizzativa degli enti locali, imponendo loro di ricorrere a centrali di committenza secondo soli due modelli di organizzazione, dal momento che l’unico limite che la direttiva 2004/18 pone all’operatività delle centrali di committenza è che queste presentino la qualità di “amministrazione aggiudicatrice” (e, ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 9, della direttiva 2004/18, con tale espressione vengono designati lo Stato, gli enti pubblici territoriali, gli organismi di diritto pubblico e le associazioni costituite da uno o più di tali enti pubblici territoriali o da uno o più di tali organismi di diritto pubblico).
Da tale rilievo, a parere della Corte, ne consegue che:
Quanto, poi, al secondo interrogativo (che la Corte ha esaminato congiuntamente al primo), i Giudici hanno fatto nuovamente appello all’autonoma discrezionalità degli Stati membri, che ben possono prescrivere modelli di organizzazione di centrali di committenza aventi natura esclusivamente pubblica, senza la partecipazione anche di privati. Ciò, in quanto, essenzialmente:
Con riferimento poi, alla terza questione posta dal giudice del rinvio, anche l’eventuale limitazione dell’ambito di operatività territoriale delle centrali di committenza ai rispettivi territori degli enti locali “fondatori” è – secondo la Corte – comunitariamente compatibile; tale limitazione, infatti:
Ad ogni modo, la Corte ha stabilito, in conclusione, che il diritto comunitario applicabile al caso di specie (ossia, l’articolo 1, par. 10, e l’articolo 11 della direttiva 2004/18/CE del 31 marzo 2004):
A questo punto, il Consiglio di Stato è chiamato a pronunciarsi nuovamente sulla questione interna di merito, in relazione alla quale sarà tenuto ad applicare i principi di diritto espressi dalla Corte sovranazionale, atteso che, come noto, la decisione della Corte resa in sede di rinvio pregiudiziale è vincolante per il giudice che ha sollevato la questione.
E proprio in relazione alla vicenda interna, è infine opportuno rammentare che la tematica relativa alla legittimazione di ASMEL Consortile ad operare come centrale di committenza è già stata oggetto anche di recenti arresti da parte dei Giudici amministrativi, in particolare ad opera del TAR Lombardia – Milano, sent. n. 240/2020, che ha confermato che ASMEL è priva dei requisiti per potersi qualificare come organismo di diritto pubblico. Alle stesse conclusioni è giunta anche l’ANAC nella delibera n. 179 del 26 febbraio 2020, che ha anche smentito che ASMEL costituisca società in house dei Comuni consorziati.