In una gara, il ricorso al lavoro autonomo deve configurarsi come subappalto? quali sono le categorie di forniture o servizi che per le loro specificità, non si configurano come attività affidate in subappalto?
A rispondere a queste domande ci ha pensato la Sezione Prima del Tribunale Amministrativo Regionale con la sentenza n. 4193 del 24 aprile 2020 con la quale ha rigettato il ricorso presentato avverso il provvedimento di esclusione da una gara in cui il concorrente, all’esito della verifica di anomalia, era stato escluso per avere inserito in offerta dei lavoratori autonomi su attività oggetto principale dell’appalto, configurandosi così una violazione della quota di subappalto prevista dal vigente art. 105, comma 2 del D.Lgs. n. 50/2016 (c.d. Codice dei contratti).
L’art. 105, comma 3 del Codice dei contratti prevede, infatti, la possibilità di ricorrere al lavoro autonomo senza che questo si configuri come subappalto solo per le seguenti categorie di forniture o servizi:
Sull’argomento subappalto, ricordiamo la lettera di costituzione in mora (infrazione 2018/2273) inviata dalla Commissione Europea il 24 gennaio 2019 al Governo italiano, con la quale, tra le varie cose, è stato contestato al Codice dei contratti il limite del 30% (ora provvisoriamente fino al 31 dicembre 2020 al 40%) previsto per il subappalto.
Codice dei contratti e Subappalto: la sentenza della Corte UE
A seguito della lettera di costituzione in mora è arrivata anche la sentenza 26 settembre 2019, causa C-63/18, con la quale la Corte di giustizia europea ha confermato l’anomalia della disposizione prevista dal Codice dei contratti in tema di subappalto.
Nel caso oggetto del nuovo intervento del TAR, la Stazione appaltante aveva chiesto di giustificare l’utilizzo di un lavoratore autonomo per la funzione di Direttore tecnico, la conformità dell’utilizzo di cinque lavoratori autonomi all’art. 105 del d.lgs. 50/2016, l’inquadramento dei lavoratori dipendenti e il numero di ore effettivamente lavorate.
La ricorrente aveva evidenziato che:
La Stazione appaltante, con il provvedimento impugnato, non aveva accolto dette giustificazioni, rilevando che la tipologia contrattuale del lavoro autonomo non era compatibile con la funzione di coordinamento organizzativo prevista per il Direttore tecnico, e che il ricorso a lavoratori autonomi, a mente dell’art. 105, comma 3 del Codice dei contratti, poteva riguardare solo attività accessorie o strumentali e non l’attività oggetto dell’appalto.
Pertanto l’utilizzo di detti cinque lavoratori autonomi era inquadrabile come subappalto, con conseguente violazione della quota del 30% posta dall’allora vigente comma 2 dell’art. 105 citato.
Secondo i principi affermati dalla giurisprudenza, il legislatore ha inteso ampliare quanto più possibile il concetto di subappalto al fine di evitare ogni possibile elusione della disciplina in materia di evidenza pubblica, dettando una serie di cautele funzionali a garantire la qualità della prestazione del subappaltatore e a prevenire fenomeni di infiltrazione delinquenziale nei contratti pubblici.
In tal senso, deve essere qualificato come subappalto, ai fini delle norme sui contratti pubblici, “qualunque tipo di contratto che intercorra tra l’appaltatore e un terzo in virtù del quale talune delle prestazioni appaltate non siano eseguite dall’appaltatore con la propria organizzazione, bensì mediante la manodopera prestata da soggetti giuridici distinti, in relazione ai quali si pone l’esigenza che siano qualificati e in regola con i requisiti di ordine generale; non sussiste sub-appalto soltanto laddove le prestazioni siano eseguite dall’appaltatore in proprio, tramite la propria organizzazione imprenditoriale”.
In tale contesto il ricorso al lavoro autonomo, pur se consentito, è subordinato dal codice, al fine di evitare un uso elusivo delle norme poste in materia del subappalto, all’individuazione specifica del contenuto delle attività da svolgere; ciò in quanto l’affidamento di parte delle mansioni a lavoratore autonomo implica lo svolgimento delle stesse da parte di un soggetto esterno all’organizzazione dell’appaltatore e non nella stessa stabilmente incardinato, come un lavoratore dipendente.
Alla luce di tali principi la valutazione operata dall’Amministrazione in ordine alla connotazione quantitativa e qualitativa del ricorso al lavoro autonomo nell’offerta del raggruppamento ricorrente risulta immune da vizi, essendo stato correttamente posto in evidenza che i lavoratori autonomi non erano, nella specie, incaricati di specifiche attività, come richiesto dal codice, ma piuttosto della diretta esecuzione, in via generale, di attività costituenti l’oggetto principale dell’appalto, per l’intero periodo di durata del contratto; con riferimento, in particolare, alla figura del Direttore tecnico, la stazione appaltante ha rilevato che, essendo allo stesso demandato l’“ottimale e costante dimensionamento, in quantità e qualità, dei team assegnati ai diversi servizi in conformità a quanto previsto dal contratto d’appalto e rispetto alle esigenze dell’Amministrazione”, tale incarico, per la sua generalità ed essenzialità rispetto al contenuto del servizio richiesto, non poteva essere svolto nelle forme del lavoro autonomo.
Tali conclusioni costituiscono adeguata motivazione dell’esclusione, risultando evidente che lo svolgimento di tali attività nelle forme del lavoro autonomo implica l’affidamento del nucleo centrale delle prestazioni richieste a soggetto distinto rispetto all’affidataria del servizio e non incardinato stabilmente nell’organigramma della stessa, contrariamente a quanto sostenuto dal RTI ricorrente.
In riferimento alla richiamata sentenza della Corte di Giustizia UE, secondo il TAR, pur avendo censurato il limite al subappalto previsto dal diritto interno nella soglia del 30% dei lavori, non esclude la compatibilità con il diritto dell’Unione di limiti superiori.
Nella sentenza citata e in altra di poco successiva la Corte ha infatti evidenziato, richiamando precedenti decisioni, che “il contrasto al fenomeno dell’infiltrazione della criminalità organizzata nel settore degli appalti pubblici costituisce un obiettivo legittimo, che può giustificare una restrizione alle norme fondamentali e ai principi generali del Trattato FUE che si applicano nell’ambito delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici. Tuttavia, anche supponendo che una restrizione quantitativa al ricorso al subappalto possa essere considerata idonea a contrastare siffatto fenomeno, una restrizione come quella oggetto del procedimento principale eccede quanto necessario al raggiungimento di tale obiettivo”.
Di conseguenza la Corte ha considerato in contrasto con le direttive comunitarie in materia il limite fissato, non escludendo invece che il legislatore nazionale possa individuare comunque, al fine di evitare ostacoli al controllo dei soggetti aggiudicatari, un limite al subappalto proporzionato rispetto a tale obiettivo.
Pertanto non può ritenersi contrastante con il diritto comunitario l’attuale limite pari al 40% delle opere, previsto dall’art. 1, comma 18, della legge n. 55/2019 (c.d. Sblocca Cantieri), secondo cui “Nelle more di una complessiva revisione del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, fino al 31 dicembre 2020, in deroga all’articolo 105, comma 2, del medesimo codice, fatto salvo quanto previsto dal comma 5 del medesimo articolo 105, il subappalto è indicato dalle stazioni appaltanti nel bando di gara e non può superare la quota del 40 per cento dell’importo complessivo del contratto di lavori”.
Nel caso di specie, il ricorrente ha demandato a contratti di lavoro autonomo una quota delle attività contrattuali molto superiore non solo al limite del 30% di cui al previgente testo dell’art. 105 del d.lgs. n. 50/2016, ma anche all’attuale soglia del 40%, risultando complessivamente affidata a lavoratori autonomi, durante tutto il periodo quadriennale di vigenza dell’appalto, una rilevante parte delle attività contrattuali, ovvero il 60% del totale delle ore annue previste per l’erogazione delle attività di “Coordinamento di monitoraggio”, l’80% delle ore previste per le attività da svolgere in fase di avvio del monitoraggio, il 100% delle ore previste per le attività da svolgere in fase di chiusura dei contratti monitorati e il 38% delle ore previste per l’erogazione delle attività di consulenza e supporto.
Pertanto anche sotto tale profilo le censure proposte risultano infondate, risultando tali coefficienti di gran lunga superiori alla soglia del subappalto previsto dal legislatore nazionale al fine di contemperare le esigenze di controllo interno con i principi affermati in ambito comunitario.