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Pareri e Sentenze

La cessione tramite permuta di un fabbricato da demolire e ricostruire non è cessione d’area

10 Settembre 2019
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La plusvalenza derivante dalla cessione di un fabbricato tramite contratto di permuta non può essere riqualificata dall’Amministrazione finanziaria come cessione d’area edificabile e recuperata a tassazione separata. Il principio vale anche nel caso in cui, prima della cessione sia stato rilasciato un permesso di costruire che prevede la demolizione e ricostruzione del fabbricato esistente. Infatti, ai fini della tassazione della plusvalenza rileva la natura oggettiva dell’immobile la momento della cessione, non le intenzioni dei contraenti.
La Corte di Cassazione (Sesta sezione civile –T) con l’Ordinanza n. 22409 del 27 marzo 2019, affronta nuovamente il tema della tassazione della plusvalenza derivata dalla cessione di un immobile da demolire e ricostruire, avvenuta,nella fattispecie, tramite contratto di permuta.
La questione presa in esame dalla Corte riguarda, in particolare, la cessione a un’impresa di costruzione di un fabbricato da demolire e ricostruire con permuta a favore dell’alienante di parte del nuovo edificato. L’Agenzia delle Entrate aveva riqualificato l’operazione come cessione di area edificabile, con invio al contribuente di un accertamento per il recupero a tassazione della relativa plusvalenza ai sensi degli artt.  67, co. 1, lett. b), e 68 del DPR 917/1986 (TUIR).
Si ricorda che ai sensi dell’art. 67 del TUIR le plusvalenze realizzate a seguito dicessioni a titolo oneroso di terreni “suscettibili di utilizzazione edificatoria” rientrano tra i “redditi diversi” e sono soggette a tassazione separata.
Il ricorso del contribuente contro l’avviso di accertamento ricevuto era stato respinto sia in primo, che in secondo grado.
In particolare, la Commissione Tributaria Regionale del Veneto aveva ritenuto che la fattispecie configurasse l’ipotesi di cessione d’area edificabile sulla base del fatto che:
·        acquirente fosse un’impresa di costruzioni
·        fosse stato rilasciato un permesso di costruire
·        al momento della stipula dell’atto fossero già iniziati i lavori
·        il prezzo concordato riferito all’immobile demolito apparisse “all’evidenza sproporzionato rispetto alla esiguità del volume”.
Di diverso avviso la Corte di Cassazione che accoglie il ricorso del contribuente sulla base del principio per cui ciò che rileva per l’individuazione della plusvalenza tassabile è la natura oggettiva dell’immobile al momento della cessione, non gli elementi che attengono alla sfera oggettiva dei contraenti, né il verificarsi di attività eventuali e dipendenti da un soggetto diverso dall’acquirente.
Che le parti abbiano previsto la demolizione del fabbricato con costruzione di nuove unità abitative non è, di per sé, condizione rilevante per l’applicazione dell’imposta. Tale principio è suffragato da precedente giurisprudenza richiamata dalla stessa Corte.
Tale orientamento, infatti, afferma il principio secondo cui sono soggette a tassazione separata, come redditi diversi, le plusvalenze derivanti da cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria, e non di terreni già edificati.
L’alternativa tra edificato e non edificato non ammette una terza possibilità. Di conseguenza la cessione di un edificio, anche se le parti ne hanno pattuito “la demolizione e ricostruzione con aumento di volumetria, non può essere riqualificata dall’amministrazione finanziaria come cessione del terreno edificabile sottostante, neppure se l’edificio non assorbe integralmente la capacità edificatori residua del lotto su cui insiste”.
A tal riguardo si evidenzia che l’Amministrazione finanziaria con la Circolare n.28/E del 21 giugno 2011, nel caso di una cessione di fabbricato destinato ad essere demolito e ricostruito, aveva ammesso – esclusivamente ai fini Iva (e non anche ai fini delle imposte dirette) – la stretta correlazione tra il regime di tassazione e la natura oggettiva del bene ceduto a prescindere dall’uso e dalla destinazione successivi.
Con questa pronuncia, che segue la recente Sentenza n. 5088 del 21 febbraio 2019 la Corte di Cassazione ha riconosciuto la validità del principio sia sotto il profilo delle imposte indirette che, come auspicato dall’ANCE, sotto il profilo delle imposte dirette.
Ordinanza n.22409 del 27 marzo 2019 (1)
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