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Si tratta di una forma di responsabilità che si presume a carico del proprietario il quale, per discolparsi, deve fornire la prova positiva che l’evento dannoso è stato determinato da caso fortuito, da forza maggiore (es. eventi disruttivi naturali) ovvero da altri fatti posti in essere dal danneggiato o da un terzo “aventi un’efficienza causale del tutto autonoma rispetto alla condotta del proprietario” stesso.
L’onere di vigilanza a carico del proprietario dell’edificio sussiste anche nel caso di appalto dei lavori, perché l’esistenza di un tale contratto non produce il totale trasferimento all’appaltatore del potere di fatto sull’immobile, al punto da far venire meno il dovere di custodia e di vigilanza del proprietario: “la responsabilità delle appaltatrici deriva anche dal non avere provveduto con sollecitudine alla mancanza dell’appaltatore che abbandonò il cantiere con il consenso delle committenti e che non aveva le dovute capacità tecniche ed organizzative. In altre parole, l’allontanamento autorizzato dell’appaltatore reintegrava in toto le committenti nei loro doveri di custodia, non adempiuti” (Corte di Cassazione, Sezione III, 27 gennaio 2005, n. 1666).
“Ne deriva che non costituisce fatto esimente da responsabilità, l’attività svolta sull’immobile da un altro soggetto per incarico del proprietario, come nel caso di affidamento dei lavori in appalto” (Tribunale Monza, 17/9/2012, Cass. Civ. n. 87/1633. Cass. civ. n. 88/6774).
Così anche “nel caso in cui la copertura in lamiera di un fabbricato, per le condizioni atmosferiche di portata non eccezionale, si ribalti sul fabbricato adiacente, il proprietario e custode del manto di copertura, ai sensi dell’art. 2053 c.c, è tenuto a rispondere dei danni derivati ai terzi, indipendentemente dalle eventuali responsabilità dell’appaltatore, del direttore dei lavori progettista” (Tribunale Pavia, 29/2/2012).
In virtù dei profili di responsabilità in cui può incorrere grava, in sostanza, sul proprietario di un bene immobile un vero e proprio dovere di manutenzione periodica.
La mancata osservanza degli obblighi di manutenzione è peraltro sanzionata come illecito amministrativo dall’art. 677 del codice penale “Il proprietario di un edificio o di una costruzione che minacci rovina ovvero chi è per lui obbligato alla conservazione o alla vigilanza dell’edificio o della costruzione, il quale omette di provvedere ai lavori necessari per rimuovere il pericolo, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 154 a euro 929”. “Se dai fatti preveduti dalle disposizioni precedenti deriva pericolo per le persone, la pena è dell’arresto fino a sei mesi o dell’ammenda non inferiore a euro 309”.
“In ordine al reato ex art 677 c.p., si rileva come il concetto di rovina di edificio non comprende solo il crollo improvviso o lo sfascio dell’edificio o della costruzione nella loro totalità, ma anche il distacco di una parte non trascurabile di essi” (Tribunale Cassino, 26/01/2015).
Secondo i chiarimenti forniti dalla giurisprudenza il proprietario può essere chiamato a rispondere ai sensi dell’art. 2053 per ogni genere di disgregazione riguardante sia l’intero immobile, sia parti di esso od anche elementi meramente accessori ma in essa stabilmente incorporati, tra cui ad esempio i balconi (Tribunale Trieste 4/7/2018, Tribunale Brescia Sez. I 8/5/2018, Tribunale Siena Poggibonsi, 25/10/2013, Tribunale Palermo Sez. III, 9/7/2013).
La responsabilità prevista dall’art. 2053 c.c. presuppone la realizzazione “di un danno effettivo a carico della parte che domanda il risarcimento e non la sussistenza di un mero pericolo di rovina, situazione, quest’ultima per la quale l’ordinamento appresta un rimedio apposito di carattere preventivo, ossia la denuncia di danno temuto, ai sensi dell’art. 1671 c.c.” (Tribunale Ivrea, 3/11/2014). “Il proprietario del bene, pertanto, deve dimostrare l’assenza di vizi e difetti di costruzione o che la manutenzione era stata effettuata a regola d’arte o il verificarsi di un evento imprevedibile ed inevitabile dotato di una sua propria ed esclusiva autonomia causale, come ad esempio un fenomeno che, scatenando in modo improvviso ed impetuoso le forze distruttive della natura, assuma proporzioni così immani e sconvolgenti” (Tribunale Palermo, Sez. III 17/4/2018, n. 1865).
La responsabilità in esame “non può che essere imputata a chi abbia la possibilità di ovviare ad un vizio di costruzione o di provvedere alla manutenzione della costruzione” (Cass. civ. Sez. III, 25/8/2014, n. 18168). “ Pertanto il proprietario di un edificio, quale custode dello stesso, risponde dei danni che ne sono provocati (…) ancorché i danni derivino da vizi costruttivi (art. 1669 c.c.), comportanti la concorrente responsabilità di terzi, in quanto il proprietario-custode di un bene immobile è responsabile per i danni cagionati dal bene, anche se le caratteristiche dannose sono state create da altri (…)”(Cass. civ. Sez. III 20/8/2003, n. 12219).
L’art. 1669 del codice civile che disciplina la responsabilità di lunga durata (per dieci anni dal compimento dell’opera) dell’appaltatore per vizi, gravi difetti, pericolo di rovina ecc. prevede altresì l’azione di regresso del proprietario contro il costruttore (ed eventualmente direttore lavori e progettista) al fine di individuare, in sede di giudizio, l’effettivo responsabile del danno provocato. Detto altrimenti, il proprietario chiamato a rispondere dei danni ai sensi dell’art. 2053 potrà, ricorrendone i presupposti, chiamare in causa a sua volta chi ha eseguito i lavori di costruzione, manutenzione, ristrutturazione al fine di accertarne le reali responsabilità o corresponsabilità.
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