In materia urbanistica, la nozione di variazione essenziale dal permesso di costruire costituisce una tipologia di abuso intermedia tra la difformità totale e quella parziale, sanzionata dall’art. 44, lett. a), del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (c.d. Testo Unico Edilizia).
A chiarirne i contorni ci ha pensato la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 52977/2018 con la quale ha rigettato il ricorso presentato contro una sentenza di appello che aveva riformato una decisione dei giudici amministrativi confermando la responsabilità del progettista e direttore dei lavori sulla base di un permesso di costruire illegittimo.
La tesi del ricorrente
Il ricorrente ha, quindi, presentato ricorso in cassazione deducendo le seguenti motivazioni:
Secondo il ricorrente il permesso a costruire era stato indicato come “in variante”, semplicemente per indicare all’ente territoriale che parte dei lavori edilizi oggetto della richiesta erano già stati realizzati in forza di un precedente permesso di costruire già concesso dal Comune. Secondo il ricorrente, nonostante la dicitura formale “in variante”, il permesso di costruire aveva le medesime caratteristiche di un permesso ex novo, che poteva essere oggetto di valutazione dell’ufficio tecnico dell’amministrazione.
Secondo il progettista ricorrente, le considerazioni della Corte di appello risulterebbero errate perché non dovrebbe essere ritenuta essenziale la proposta modifica della sagoma del fabbricato, considerato che la stessa risultava “per difetto”, nel senso che con il secondo permesso veniva eliminata una sporgenza triangolare, già autorizzata con il primo permesso di costruire concesso. Inoltre la sagoma – a seguito della riforma dell’art. 10 comma 1 lett. c) T.U. edilizia introdotta con l’art. 30 comma 1 lett. c) D.L. n. 69/2013 – non va più considerata tra gli elementi tecnici per i quali è necessario, in caso di modifica, un autonomo permesso a costruire.
Gli ermellini hanno ricordato che in materia urbanistica la nozione di variazione essenziale dal permesso di costruire costituisce una tipologia di abuso intermedia tra la difformità totale e quella parziale, per la quale è possibile distinguere 3 casistiche:
Nel caso di specie le modifiche proposte con la richiesta presentata dal progettista non erano delle mere varianti ma variazioni essenziali, per le quali era necessario un nuovo permesso di costruire, non potendosi fondare la legittimità urbanistica dell’opera realizzata sul un mero progetto “in variante” presentato. L’opera edilizia risultava, infatti, diversa per volumetria (oltre 100 mc.), sagoma e localizzazione rispetto a quella oggetto del primo permesso di costruire. I giudici di secondo grado hanno, dunque, sottolineato anche come la planimetria redatta dal ricorrente e presentata al Comune, oltre a presentare un errore nell’indicazione della superficie del lotto, non desse conto delle opere edilizie già realizzate in difformità del progetto originario (sagoma rettangolare, anziché con la sporgenza triangolare) anche perché collocate in traslazione, con conseguente violazione delle norme sulle distanze.
Di conseguenza la sentenza impugnata è esente da qualunque censura di violazione di legge ed è altresì immune dalla lamentata contraddittorietà od illogicità, di cui al secondo motivo di ricorso, laddove ha considerato esente da responsabilità sia il responsabile dell’ufficio tecnico del Comune, comunque indotto in errore dalle planimetrie non rispondenti alla realtà, che il titolare dell’impresa che realizzò i lavori, per l’avere confidato nella legittimità del permesso di costruzione.